Prendetevi del tempo per gustarvi la storia struggente e forte di Takashi Nagai, padre di famiglia e medico giapponese convertito al cattolicesimo, sopravvissuto alla bomba atomica di Nagasaki, morto in odore di santità per le conseguenze delle radiazioni.
Takashi Nagai nacque nel febbraio del 1908 a Isumo (vicino a Nagasaki) in Giappone, in una famiglia di cinque figli di religione scintoista. Dimostrando una spiccata attitudine per gli studi, il padre, esperto di medicina orientale, gli trasmette la passione per questa disciplina e, nel 1928, Takashi si iscrive alla Facoltà di Medicina.Racconta nel suo diario: «fin dagli studi liceali ero diventato prigioniero del materialismo […]; alla Facoltà di medicina mi fecero sezionare cadaveri: la struttura meravigliosa del corpo, l’organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. L’anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».
Nel 1930 sua madre subisce un colpo apoplettico e, senza poter parlare, gli rivolge un ultimo sguardo: per Takashi l’addio della madre segna una svolta determinante nella sua vita. «Quella donna —scrive Nagai— che non si era mai concessa un istante di tregua nel suo amore per me, negli ultimi istanti di vita mi parlò molto chiaramente. Il suo sguardo mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto ciò era un’intuizione, un’intuizione che aveva il sapore della verità».Il futuro medico giapponese inizia così a leggere Pascal e rimane colpito dalla sua fede di scienziato: decide di provare a conoscere la religione cattolica, allo stesso modo con cui normalmente si verificano in laboratorio le ipotesi. Cerca e trova una famiglia cattolica che lo ospiti durante gli studi: i coniugi Moriyama, umili fattori, famiglia cattolica da 250 anni, che hanno una figlia, Midori. Tutti e tre i componenti della famiglia iniziano subito a pregare per la sua conversione.Nel 1932 il giovane studente, colpito da un’otite, diventa sordo dall’orecchio destro: deve dire addio alla medicina ordinaria, non può più usare lo stetoscopio. Si rivolge allora con entusiasmo alla radiologia, agli esordi nel suo paese, e intuisce subito che questa nuova scienza sarà fondamentale per la diagnostica. Lo stesso anno, la notte di Natale del 1932 è invitato dal sig. Moriyama a partecipare alla S. Messa di mezzanotte in cattedrale: «Non potrà mai credere, se non verrà a pregare in chiesa».La sua conversione e il battesimo con il nome di Paolo (in onore di San Paolo Miki), avverranno però solo nel giugno del 1934, dopo altre vicende che segneranno la sua vita: salva la vita a Midori, colpita da appendicite acuta e in pericolo di vita, viene reclutato nell’esercito e inviato in Manchuria (Cina) a combattere: porta però con sé un piccolo catechismo regalatogli Midori.
Torna in Giappone, provato e sconvolto dalla guerra. Entrato per la seconda volta nella cattedrale di Nagasaki, incontra un sacerdote giapponese che lo ascolta per lungo tempo e lo conforta. Legge di nuovo Pascal e si sofferma su un pensiero: «vi è abbastanza luce per coloro che desiderano vedere, ed abbastanza oscurità per quelli che sono in una disposizione contraria». Adesso Takashi non ha più dubbi sulla sua chiamata al cattolicesimo.Sposa Midori nel settembre del 1934 e la rende consapevole dei rischi corsi nella sua attività medica (i radiologi dell’epoca non avevano i mezzi per proteggersi dai raggi X adeguatamente); la moglie lo sostiene e condivide tutte le sue scelte. «Il compito del medico —scrive il dott. Nagai— è quello di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di sforzarsi di diminuire le loro sofferenze, come se fossero le sue proprie […]. In fin dei conti, non è il medico che guarisce l’ammalato, ma la volontà di Dio. Una volta che si è capito questo, la diagnosi medica ingenera la preghiera».Dal giugno del 1937 al marzo del 1940 Nagai è di nuovo coinvolto nella guerra cino-giapponese. È un medico militare eroico: la sua abnegazione è totale ed è per tutti: soldati giapponesi e cinesi, uomini, donne, bambini e anziani, vittime di carneficine orribili. Rientrato in Giappone scopre da solo sulle sue mani i primi segni di una malattia derivata dalle esposizioni ai raggi X.Lavora sempre di più (negli ultimi tempi trascorre giorno e notte facendo radiografie ai feriti dei bombardamenti e salvando in questo modo molte vite umane, senza mai tirarsi indietro); è sovente spossato e, solo quando è sfinito, si chiude nel suo ufficio, recita il rosario guardando la statua della Vergine Maria, ritrovando così la sua pace interiore.Nel giugno del 1945 si fa un’auto diagnosi: leucemia con ipertrofia della milza: durata della vita 3 anni. «Signore —così accoglie la notizia della sua malattia— non sono che un servo inutile. Proteggi Midori e i nostri due figli. Avvenga di me quello che Tu vuoi». La mattina dopo, ricevuto il sostegno della moglie, è al lavoro come sempre, pieno di nuova forza e con il sorriso che lo accompagnerà e lo distinguerà sempre.Il 9 agosto del 1945 è una giornata con un cielo perfettamente nitido; ma siamo ormai ai drammatici esiti finali della Seconda guerra mondiale: improvvisamente esplode la bomba atomica sul quartiere cattolico a nord di Nagasaki, Urakami. Muiono 8000 cristiani. La cattedrale, affollata di fedeli, è distrutta. Era la comunità cattolica più importate e numerosa dell’Estremo Oriente.
Nagai, Preside della Facoltà di medicina, lavora nel suo laboratorio a 700 metri dal centro dell’esplosione: è una visione apocalittica. È ferito, ma lavora senza sosta per soccorrere i feriti, non si ferma nemmeno un attimo. L’11 agosto ritrova la sua casa ridotta in cenere, recupera i resti carbonizzati della moglie (i due figli erano in montagna con la nonna al sicuro); nelle ossa della mano destra della moglie trova intatto il suo rosario, che brilla nella polvere: «Dio mio —prega il marito tra le lacrime— ti ringrazio di averle permesso di morire pregando. Maria, madre del dolore, ti ringrazio di averla accompagnata nell’ora della morte».Moribondo a settembre, perché le radiazioni della bomba atomica hanno aggravato il suo male, Takashi si affida al Signore. Gli viene portata dall’acqua di Lourdes e prega Massimiliano Kolbe (proclamato beato nel 1971 e santo nel 1982). Esce dal semicoma la mattina dopo. Il protarsi di 6 anni di vita, nonostante la diagnosi di morte sicura della sua malattia, verrà attribuita da Takashi all’intercessione di Massimiliano Kolbe.Il medico radiologo diventa un “esempio vivente”: invita a perdonare immediatamente e incoraggia tutti a credere nella Provvidenza Divina che trae sempre il bene dal male; torna per primo a vivere nel quartiere distrutto, costruendosi una capanna con delle lamiere nel luogo una volta c’era casa sua, e lì ritrova il Crocifisso di famiglia: «mi è stato tolto tutto, dice; ho ritrovato solo questo crocifisso».In occasione di una Messa da Requiem gli viene chiesto di prendere la parola: «Nagasaki — dice ai suoi concittadini — non era forse la vittima scelta, l’agnello immolato, olocausto offerto sull’altare del sacrificio, morta per i peccati di tutte le nazioni, durante la seconda guerra mondiale? Siamo riconoscenti che Nagasaki sia stata scelta per tale olocausto! Siamo riconoscenti perchè, attraverso questo sacrificio, la pace è stata data al mondo e la libertà religiosa al Giappone».Nella primavera del 1947 Nagai si aggrava e deve mettersi a letto. Lascia la professione, ma decide di mettersi a scrivere: «la mia testa funziona ancora», si dice. «Gli occhi, le mani e le dita sono ancora in buono stato». Il primo scritto è per i suoi figli, ancora piccoli: «Miei cari figli, amate il vostro prossimo come voi stessi. Ecco il motto che vi lascio. Con esso comincerò questo scritto, probabilmente lo finirò con esso e sempre con esso riassumerò».Pubblica in quattro anni quindici volumi; scrive di notte perché fin dalla mattina riceve visitatori: «mi disturbano — scrive nel suo diario — ma poiché hanno al gentilezza di venire, non devo provare a versare un po’ di gioia nel loro cuore e a parlar loro della nostra speranza cattolica? Non posso mandarli via»; ma allo stesso tempo afferma che «anche i malati devono lavorare con tutta la loro forza».Nei suoi libri offre un resoconto di quanto accaduto nell’esplosione atomica, attraverso la sua esperienza e la sua competenza. Considera ormai la sua vocazione quella di propagare il messaggio cristiano attraverso il quale soltanto si può trovare ed instaurare una pace duratura. I suoi libri dal 1948 si leggono ovunque in Giappone e hanno contribuito notevolmente all’educazione sociale e all’evangelizzazione del suo paese.Nel best seller “Le campane di Nagasaki” (da cui è stato tratto un film), si chiede: «l’umanità sarà felice nell’era atomica, oppure misera? Di quest’arma a doppio taglio nascosta da Dio nell’universo ed ora scoperta dall’uomo, che farne? Un buon uso farebbe progredire a grandi passi la civiltà; un cattivo uso distruggerebbe il mondo. La decisione sta nel libero volere dell’uomo. Egli tiene in mano il proprio destino. Pensandoci, ci si sente assaliti dal terrore e, per conto mio, credo che un vero spirito religioso sia l’unica garanzia in questo campo… In ginocchio nella cenere del deserto atomico, preghiamo perchè Urakami sia l’ultima vittima della bomba. La campana suona… O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te».Nel marzo del 1951 il suo stato di salute si fa preoccupante ma non gli fa perdere il suo buonumore. Nell’aprile di quello stesso anno Nagai riesce a terminare il suo ultimo libro. Il 1° maggio, il primo giorno del mese dedicato a Maria, Takashi Paolo muore a 43 anni per un’emorragia celebrale, tenendo in mano il Crocifisso di famiglia. Al suo funerale accorre una folla immensa, in un corteo che dalla cattedrale (ricostruita) si muove con molta difficoltà per raggiungere il cimitero. L’anno dopo è già inaugurato il “Nagai Memorial Museum”, visitato ogni anno da 150 mila persone.
Maestro di “spiritualità della pace”, definito il “Gandhi giapponese”, Takashi (che in giapponese significa “nobiltà”) ha vissuto l’ideale cristiano dell’amore verso il prossimo annullando davvero se stesso.Il “santo di Urakami” o il “santo di Nagasaki”, come era già chiamato in vita, fu esempio di umiltà nella ricerca appassionata della verità, di abnegazione e di spirito di sacrificio. Ha voluto porre come epitaffio sulla sua tomba la frase evangelica che forse sintetizza al meglio il suo atteggiamento nella vita: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quel che dovevamo fare» (Lc 17,10).
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