Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo.
Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: « Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità » (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, il quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve « avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te” » (ibidem).
Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).
Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio).
Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede.
Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”)?
Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”)?
Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, « colonna e fondamento della verità », se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria.
Nessuno si è sorpreso infatti leggendo su La Stampa di Torino (“Hans Küng, l’occasione sprecata dalla Chiesa.”) un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.
Nessuno si è sorpreso infatti leggendo su La Stampa di Torino (“Hans Küng, l’occasione sprecata dalla Chiesa.”) un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.
Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica.
Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede.
Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.
Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).
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