di Gennaro Cangiano.
Tutta la costruzione del Vangelo di Marco si è sviluppata a partire dal nucleo originario: il racconto della passione. Queste narrazioni, anche se le leggiamo alla fine, precedono tutte le altre, sono al centro di tutta la costruzione. Il vangelo secondo Marco è il più antico tra i Vangeli e il racconto della passione è così il punto di partenza attorno al quale si viene costituendo non solo questo vangelo, ma tutta la letteratura evangelica che poi fiorirà gli altri scritti: Luca, Matteo, Giovanni. In qualche modo abbiamo a che fare con un testo che si presenta come il "Santo dei Santi", il nucleo originario.
Tutta la costruzione del Vangelo di Marco si è sviluppata a partire dal nucleo originario: il racconto della passione. Queste narrazioni, anche se le leggiamo alla fine, precedono tutte le altre, sono al centro di tutta la costruzione. Il vangelo secondo Marco è il più antico tra i Vangeli e il racconto della passione è così il punto di partenza attorno al quale si viene costituendo non solo questo vangelo, ma tutta la letteratura evangelica che poi fiorirà gli altri scritti: Luca, Matteo, Giovanni. In qualche modo abbiamo a che fare con un testo che si presenta come il "Santo dei Santi", il nucleo originario.
Gesù prende con sé tre discepoli, li invita a vegliare, poi si getta a terra e prega. E diceva «Abbà, Padre!». Una volta, due volte, tre volte, insistentemente ripeteva "quella medesima parola", dice il testo greco al singolare (ton autòn logon). Quella medesima parola è: Abbà. E’ la preghiera di Gesù nel Getzemani: una invocazione incessante, martellante, appassionata del Padre che finalmente il Figlio interpella in modo scoperto e diretto. Fino a questo momento, nel Vangelo secondo Marco, non abbiamo mai udito Gesù pronunciare questo nome. Nel cuore della terza sezione del racconto della passione c’è Abbà.
E’ Gesù che avanza, mentre tutti fuggono. Coloro che pretendevano di dire "io" sono spariti. Gesù sta occupando la scena assumendo in pienezza la sua identità. E’ il Figlio che invoca: Abbà. Gesù si presenta, si dichiara, si scopre. Fin dall'inizio della catechesi evangelica ci siamo abituati a denominarlo in questo modo: il Figlio. La voce, al Battesimo nel Giordano, ha dichiarato così: è il Figlio di cui mi compiaccio, è il Figlio che ritorna a casa, che avanza, che attraversa il deserto, il mare, che vuole entrare nel cuore umano e aprire strade di riconciliazione, di conversione. Adesso è lui stesso che assume in modo esplicito la sua identità filiale, è lui stesso che prega invocando, nel corso di tutta quella notte, la paternità di Dio: Abbà. Gesù veglia, mentre i discepoli dormono. E lui che ha il coraggio di attraversare quel territorio notturno, amaro, squallido che è stato abbandonato dagli uomini che hanno la pretesa di dire: "Io". Adesso è Gesù che dice: Io; e dice "Io" nel suo dialogo con il Padre, nel suo rispondere, nel suo appellarsi, nel suo consegnarsi al Padre. "Abbà, non la mia volontà, ma la tua...". Una pagina dell'Antico testamento sta sullo sfondo del testo. Nel Cantico dei Cantici, in diversi momenti, compare l’amato in veglia al capezzale della creatura amata dormiente. L'evangelista Marco ci consente di ritornare al Cantico dei Cantici, là dove la creatura umana si addormenta, non regge, viene meno, sviene. Al capezzale di quella creatura dormiente veglia il diletto. Giuda, uno dei dodici, si avvicina con gente armata per arrestare Gesù. Giuda bacia Gesù, lo chiama Rabbì. C'è il tentativo di resistere compiuto da qualcuno che estrae la spada. Resta anonimo questo aspirante difensore, che in realtà non dà alcun seguito al suo gesto sconsiderato. " E tutti abbandonandolo, fuggirono". Tutti. Tutte le pecore fuggono. Le pecore non hanno riconosciuto il pastore, e quando il pastore è colpito, le pecore sono disperse.
E’ Gesù che avanza, mentre tutti fuggono. Coloro che pretendevano di dire "io" sono spariti. Gesù sta occupando la scena assumendo in pienezza la sua identità. E’ il Figlio che invoca: Abbà. Gesù si presenta, si dichiara, si scopre. Fin dall'inizio della catechesi evangelica ci siamo abituati a denominarlo in questo modo: il Figlio. La voce, al Battesimo nel Giordano, ha dichiarato così: è il Figlio di cui mi compiaccio, è il Figlio che ritorna a casa, che avanza, che attraversa il deserto, il mare, che vuole entrare nel cuore umano e aprire strade di riconciliazione, di conversione. Adesso è lui stesso che assume in modo esplicito la sua identità filiale, è lui stesso che prega invocando, nel corso di tutta quella notte, la paternità di Dio: Abbà. Gesù veglia, mentre i discepoli dormono. E lui che ha il coraggio di attraversare quel territorio notturno, amaro, squallido che è stato abbandonato dagli uomini che hanno la pretesa di dire: "Io". Adesso è Gesù che dice: Io; e dice "Io" nel suo dialogo con il Padre, nel suo rispondere, nel suo appellarsi, nel suo consegnarsi al Padre. "Abbà, non la mia volontà, ma la tua...". Una pagina dell'Antico testamento sta sullo sfondo del testo. Nel Cantico dei Cantici, in diversi momenti, compare l’amato in veglia al capezzale della creatura amata dormiente. L'evangelista Marco ci consente di ritornare al Cantico dei Cantici, là dove la creatura umana si addormenta, non regge, viene meno, sviene. Al capezzale di quella creatura dormiente veglia il diletto. Giuda, uno dei dodici, si avvicina con gente armata per arrestare Gesù. Giuda bacia Gesù, lo chiama Rabbì. C'è il tentativo di resistere compiuto da qualcuno che estrae la spada. Resta anonimo questo aspirante difensore, che in realtà non dà alcun seguito al suo gesto sconsiderato. " E tutti abbandonandolo, fuggirono". Tutti. Tutte le pecore fuggono. Le pecore non hanno riconosciuto il pastore, e quando il pastore è colpito, le pecore sono disperse.
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