di Gennaro Cangiano
Le prime tre ore della crocifissione di Gesù, dalle nove alle dodici, sono riempite da una serie di insulti e derisioni che possono essere sintetizzati con: "salva te stesso scendendo dalla croce". Con questa espressione, la morte di Gesù che salva, viene giudicata una rovina e si chiede, come sapiente, un gesto spettacolare il quale annullerebbe il disegno divino della redenzione. Questi insulti mostrano al lettore credente che davanti al crocefisso si può sempre essere ciechi, cioè non capire fino in fondo il significato e le ragioni dell'evento. Essi evidenziano anche le modalità inattese ed impreviste attraverso le quali viene donata la salvezza. Rispetto a speranze di redenzione che erano orientate verso uno sbocco politico e temporale, la risposta divina percorre altre strade. Seguono poi tre ore dominate dal segno della tenebra che, collegata con la nube, rimanda alla presenza di Dio sul Calvario: "si fece buio su tutta la terra fino alle tre".
Su questo monte però il Padre non interviene ad illuminare l'avvenimento con la sua Parola, come fece al Giordano e sul Tabor. Di fronte al silenzio di Dio Gesù prega e grida citando il salmo 22: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza... Eppure tu abiti la santa dimora" ed il grido diventa segno della sofferenza che scaturisce proprio dal contrasto tra presenza e non intervento di Dio: “dando un forte grido, spirò”. Dopo la morte è il centurione, un pagano, che riconosce l'identità di Gesù: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio". Da questo momento in poi l'accesso alla presenza di Dio dentro la storia è definitivamente aperto a tutti gli uomini. La presenza di "alcune donne, che stavano ad osservare da lontano" rimanda ad un piccolo resto dei suoi discepoli rimasto con lui fino all'ultimo momento ed anticipa la vicenda della resurrezione, di cui le donne saranno prime testimoni. Al culmine della vicenda terrena di Gesù il lettore è confrontato con una scena che agli occhi dei contemporanei risultò certamente agghiacciante: nulla più infamante della morte in croce, un supplizio che i Romani riservavano ai ribelli e per molti ebrei espressione della maledizione di Dio. Nonostante la risurrezione – e i lettori di Marco ben conoscevano tale esito della vicenda – la croce rimaneva con tutta la sua problematicità: era solo uno spiacevole incidente in un percorso altrimenti vittorioso, oppure proprio questo momento rivelava un particolare aspetto dell’insondabile mistero di Dio e del ruolo di Gesù nella storia della salvezza? A questo l’evangelista risponde presentando la morte di Gesù in due quadri in tensione tra loro, entro una precisa cornice temporale: dalle nove a mezzogiorno situa la crocifissione tra gli scherni dei presenti (vv. 24-32); da mezzogiorno alle tre del pomeriggio la morte di Gesù seguita dai segni della sua fecondità. Il brano si articola in tre parti: la tenebra che avvolge tutta la terra fino al momento della morte di Gesù (v. 33); la preghiera di Gesù e il grido con il quale spira (vv. 34-37); i fenomeni che seguono la sua morte: il velo del tempio che si squarcia e la confessione di fede del centurione (vv. 38-39).
Le prime tre ore della crocifissione di Gesù, dalle nove alle dodici, sono riempite da una serie di insulti e derisioni che possono essere sintetizzati con: "salva te stesso scendendo dalla croce". Con questa espressione, la morte di Gesù che salva, viene giudicata una rovina e si chiede, come sapiente, un gesto spettacolare il quale annullerebbe il disegno divino della redenzione. Questi insulti mostrano al lettore credente che davanti al crocefisso si può sempre essere ciechi, cioè non capire fino in fondo il significato e le ragioni dell'evento. Essi evidenziano anche le modalità inattese ed impreviste attraverso le quali viene donata la salvezza. Rispetto a speranze di redenzione che erano orientate verso uno sbocco politico e temporale, la risposta divina percorre altre strade. Seguono poi tre ore dominate dal segno della tenebra che, collegata con la nube, rimanda alla presenza di Dio sul Calvario: "si fece buio su tutta la terra fino alle tre".
Su questo monte però il Padre non interviene ad illuminare l'avvenimento con la sua Parola, come fece al Giordano e sul Tabor. Di fronte al silenzio di Dio Gesù prega e grida citando il salmo 22: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza... Eppure tu abiti la santa dimora" ed il grido diventa segno della sofferenza che scaturisce proprio dal contrasto tra presenza e non intervento di Dio: “dando un forte grido, spirò”. Dopo la morte è il centurione, un pagano, che riconosce l'identità di Gesù: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio". Da questo momento in poi l'accesso alla presenza di Dio dentro la storia è definitivamente aperto a tutti gli uomini. La presenza di "alcune donne, che stavano ad osservare da lontano" rimanda ad un piccolo resto dei suoi discepoli rimasto con lui fino all'ultimo momento ed anticipa la vicenda della resurrezione, di cui le donne saranno prime testimoni. Al culmine della vicenda terrena di Gesù il lettore è confrontato con una scena che agli occhi dei contemporanei risultò certamente agghiacciante: nulla più infamante della morte in croce, un supplizio che i Romani riservavano ai ribelli e per molti ebrei espressione della maledizione di Dio. Nonostante la risurrezione – e i lettori di Marco ben conoscevano tale esito della vicenda – la croce rimaneva con tutta la sua problematicità: era solo uno spiacevole incidente in un percorso altrimenti vittorioso, oppure proprio questo momento rivelava un particolare aspetto dell’insondabile mistero di Dio e del ruolo di Gesù nella storia della salvezza? A questo l’evangelista risponde presentando la morte di Gesù in due quadri in tensione tra loro, entro una precisa cornice temporale: dalle nove a mezzogiorno situa la crocifissione tra gli scherni dei presenti (vv. 24-32); da mezzogiorno alle tre del pomeriggio la morte di Gesù seguita dai segni della sua fecondità. Il brano si articola in tre parti: la tenebra che avvolge tutta la terra fino al momento della morte di Gesù (v. 33); la preghiera di Gesù e il grido con il quale spira (vv. 34-37); i fenomeni che seguono la sua morte: il velo del tempio che si squarcia e la confessione di fede del centurione (vv. 38-39).
Le tenebre - un tratto apocalittico - sono il simbolo dell’abisso di perdizione in cui sprofonda l’umanità che ha abbandonato il suo Dio; una situazione applicata dai profeti al giorno dell’intervento definitivo di Dio, che sarà tenebra per i suoi nemici e luce per gli eletti. Questo sta a indicare che in questa morte si consuma un giudizio e nello stesso tempo la salvezza: la morte di Gesù è evento nel quale è coinvolto il destino di salvezza e condanna di ogni esistenza umana.
Dio sembra escluso da questa scena, ma è Gesù che lo fa rientrare prepotentemente, lanciando il suo grido dalla croce, un’invocazione che riprende (in aramaico) l’inizio del Salmo 22, una preghiera molto intensa nella quale risalta la situazione disperata dell’orante. Soprattutto però è degno di nota che il salmo – a differenza di tanti altri salmi di supplica che costellano il salterio – ci presenta un orante che non confessa alcun peccato: è il giusto che perseguitato ingiustamente si rivolge a Dio perché ritorni a lui vicino. Non è il fedele che ha abbandonato Dio, è invece Dio che sembra lontano proprio quando i nemici fanno ressa attorno al giusto per opprimerlo e farlo perire. Il grido dell’abbandono di Dio mostra ai credenti in lui che Gesù, abbandonato da tutti gli uomini, doveva entrare anche in questo ultimo abbandono da parte di Dio, per poter restare fedele a Dio. Sebbene abbandonato, gli rivolge la sua preghiera e il suo lamento, facendo così capire che lui non abbandona Dio.
Il grido di Gesù è frainteso dai presenti – pensano che invochi Elia a liberarlo – e questo porta uno di loro a compiere un gesto che dovrebbe ristorarlo un attimo affinché possa attendere Elia: ma Gesù non attende affatto Elia (come facevano invece alcuni suoi contemporanei, cf. Mc 9,9-13), bensì si rivolge a Dio e alla fine prostrato soccombe, lanciando un forte grido. Marco non attenua in alcun modo la tragedia della morte di Gesù: il modo in cui egli muore manifesta la reale umanità di questo Messia, umanità già colta nel Getsemani, ma che qui raggiunge il suo apice. La morte di Gesù è una morte tragica, non va addolcita. Egli grida a gran voce e così spira
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