In sostanza, che cos'è uno spirito scientifico nel senso integrale della parola? È uno spirito che a ogni oggetto applica il metodo adatto a quell'oggetto. Ma l'errore fondamentale di un certo positivismo moderno è quello di voler applicare il metodo della geometria, per dirla con Pascal, alle cose dell'uomo e alle cose di Dio. È evidente che la geometria porterà sempre e soltanto alla geometria. Finché si analizzano soltanto strutture non si incontrerà mai una libertà. Cinquant'anni fa Le Dantec diceva: «Crederò nell'anima il giorno in cui l'avrò trovata sotto il mio bisturi». Ma è evidente che con i metodi della dissezione non si incontrerà mai una persona umana.
Scientificamente è errore radicale pretendere che un metodo, sia esso di dissezione fisiologica, di analisi ermeneutica o psicanalitica, possa farci incontrare una libertà e una persona umana, e chiunque lo affermi non è scientificamente serio. Ma questo non significa che la persona o la libertà non siano accessibili a una conoscenza obiettiva; significa invece che la conoscenza obiettiva non si riduce, come pensa Monad, alla conoscenza che è data dalle scienze positive. Vi è lo «spirito di finezza» per le cose dell'anima e vi è lo «spirito di profezia» per le cose della storia, cioè per il segreto ultimo del destino umano collettivo...
Fin qui abbiamo trattato la questione sul piano della persona umana e su quello della comunione fra le persone; però la si può trattare anche su un terzo piano.
Ovviamente non ha senso negare l'esistenza di Dio perché non ci si è mai imbattuti in lui nel corso di analisi ermeneutiche o fisiche ecc., poiché, se Dio esiste, certamente non è un oggetto della natura. È assurdo pensare che Dio possa essere un oggetto del quale ci si può impadronire con gli stessi metodi che si usano per analizzare i corpi, se questi metodi non sono sufficienti neppure a farci raggiungere la persona degli altri.
Dio è essenzialmente una soggettività trascendente, non suscettibile cioè di essere afferrato come un oggetto. Se Dio è Dio, cioè una personalità sovrana, può essere conosciuto soltanto nella misura in cui egli si manifesta. D'altra parte, le stesse persone umane non sono conosciute che nella misura in cui esse stesse si manifestano. E questa squalifica chiunque metta in questione Dio in nome della scienza, perché Dio si situa soltanto sul piano di quanto è inaccessibile ai metodi della scienza. Vi è sì un problema di Dio, ma deve essere impostato a un altro livello. In un certo positivismo di bassa lega, che praticamente ignora le realtà essenziali delle relazioni interumane e delle relazioni con Dio, vi è qualcosa di superficiale, nel senso che non scende a considerare le profondità.
Nel rifiuto assoluto della metafisica, nel rifiuto cioè di porre i problemi fondamentali, vi è una certa pigrizia dell'intelligenza. Noi riconosciamo la grandezza della scienza quando essa rimane nel suo ordine, ma la pretesa totalitaria di una scienza, che affermasse di dire l'ultima parola su tutto, ci appare come una minaccia terribile alla cultura contemporanea. Alle fine del IX secolo, di fronte a uno scientismo in pieno sviluppo, contro le pretese della scienza e della tecnica di spiegare tutto si sono levate le voci dei grandi maestri della rivolta dell'uomo: c'è stata la rivolta di Dostoevskij, che parlava del muro dell'impossibile che la scienza vorrebbe opporre alla libertà creativa e inventiva di Dio; c'è stata la rivolta di Kierkegaard, che ha protestato contra la prigione in cui il razionalismo costringeva l'uomo e che nella disperazione ha visto l'avvio alla scoperta del reale al di là di ogni scienza; c'è stato Leon Bloy, c'è stato Peguy, e ci sono stati tutti coloro che si sono opposti alla presunzione di uno scientismo nel quale avvertivano il pericolo di un decadimento dell'umanità, e hanno sostenuto che vi sono altre vie di accesso al reale, vie assolutamente valide e che, anzi, raggiungono mete inaccessibili alla scienza. Ebbene, sono passati cinquant'anni e ci troviamo alle prese con lo stesso problema.
J. DANIELOU, La cultura tradita dagli intellettuali (1972)
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