Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

domenica 30 aprile 2017

La Voce e la Parola



«Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia».

Questa citazione di Isaia 40,3 la troviamo in tutti i vangeli, è un elemento comune della tradizione, fedelmente conservato.
Giovanni Battista ha avuto piena coscienza del proprio ruolo attraverso quella parola che ha letto nel Libro del profeta Isaia: «Io sono voce» e identifica se stesso con la voce. Nei tre sinottici  c’è il riferimento alla profezia di Isaia, ma manca questa auto-identificazione precisa e personale; solo nel quarto vangelo Giovanni infatti afferma: “Io sono voce di uno che grida, non sono uno che grida soltanto, ma io sono la voce!”.
Intenzionalmente l’evangelista mette a confronto la voce con la parola. È importante la somiglianza e la differenza: Gesù è la parola, Giovanni è la voce.
La parola può essere anche solo pensata, noi infatti ragioniamo attraverso le parole, nella nostra testa si formano delle parole concatenate, i nostri ragionamenti sono tutti fatti di parole che – anche se non vengono pronunciate – potrebbero essere scritte, ma non c’è voce. La voce è lo strumento sonoro con cui io faccio arrivare alla tua testa le parole che ho nella mia testa; una parola che io penso te la comunico con la voce.

La voce suona, comunica la parola, è un veicolo che trasmette da me a te quella parola che prima era solo dentro di me. Dopo che io ho pronunciato la parola la voce cessa, non si sente più niente, ma la parola è arrivata a te e adesso tu hai dentro quella parola, l’hai ascoltata, la sai, rimane dentro di te e questo anche se la voce non c’è più.
È molto adatto questo paragone: Gesù è la Parola concepita da Dio dall’eternità e pronunciata nel tempo, mentre Giovanni è la voce, è il mezzo che permette di conoscere quella parola. La voce cessa, la parola continua. Egli non è la luce, è il testimone, è la voce che nel deserto grida, è la voce che comunica la parola, che la trasmette. Questo ci aiuta a comprendere anche il nostro ruolo profetico.
Se ritorniamo alla domanda: “Che cosa dici di te stesso?”, ognuno di noi, in forza del battesimo, potrebbe dire: “Sono un profeta”, non nel senso che prevedo il futuro, che sono un indovino, ma sono un profeta consacrato nel battesimo e, come tale, ho questa grazia di Dio di essere portatore della sua parola; non però in quanto prete, ma in quanto battezzato. Tutti infatti condividiamo questa grazia che diventa una missione.
Il significato biblico di profeta è uno che parla a nome di un altro: la parola è una, la Parola è Cristo e noi – come Giovanni – possiamo essere la voce, voce che comunica la Parola. Non però la mia parola, ma io ci metto la mia voce perché possa passare la Parola di Dio, che è Gesù in persona. Ogni cristiano, a suo modo, nella sua vita, nel suo ambiente, può e deve essere voce di chi parla, grida nel deserto o nella città: è voce di quella Parola.
È importante imparare a distinguere fra la voce e la parola per non confondere i ruoli. Giovanni Battista ci ha insegnato con chiarezza questo compito profetico di chi ha la consapevolezza della voce e non usurpa il ruolo della Parola.

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