di Fabio Trevisan.
“Madre e maestra di tutte le genti”: con queste parole iniziava la Lettera Enciclica Mater et magistra di Papa Giovanni XXIII datata 15 maggio 1961. Il Santo Padre intendeva indicare all’umanità e ad un mondo che stava cambiando un porto sicuro, un faro perenne: la Chiesa, quale colonna e fondamento di verità.
A cinquant’anni di distanza quelle parole appaiono ancora nobili e lungimiranti ed, al contempo, molto lontane da certo relativismo che vorrebbe ridurre la Chiesa a semplice “accompagnatrice”, “compagna di viaggio”, “discepola” e quindi non maestra né tantomeno madre. La sollecitudine del Pontefice era rivolta all’uomo nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà, ponendogli l’obiettivo della salvezza dell’anima da una parte, a cui la Chiesa poteva soccorrere soprattutto (ma non solo) attraverso i Sacramenti, e, dall’altra parte, il soddisfacimento delle umane esigenze del vivere quotidiano.
Riprendendo i più recenti sviluppi della questione sociale alla luce della dottrina cristiana, Papa Giovanni intendeva lanciare un ponte, a distanza di settant’anni, all’immortale enciclica Rerum novarum di Leone XIII, che, secondo le testuali parole del Pontefice, fa dell’enciclica una summa del cattolicesimo in campo economico-sociale.
Mater et magistra si colloca quindi, secondo le intenzioni del Pontefice ed in questo senso va letta, nel solco degli insegnamenti dell’enciclica Rerum novarum e nei tempestivi sviluppi del magistero successivo di Pio XI e di Pio XII. Dinanzi ad un ordine economico e sociale sconvolto, la Chiesa ribadiva il sostegno a tutti coloro che, per diverse condizioni, soffrivano, ovvero ai fanciulli, alle donne ed alle famiglie intere.
Giovanni XXIII intendeva così rendere omaggio a Leone XIII, che non esitò a proclamare e a difendere i legittimi diritti dell’operaio in quanto il lavoro deve essere valutato e trattato non già alla stregua di una merce, ma come espressione della persona umana. Si ritorna ad un caposaldo della dottrina sociale naturale e cristiana e cioè la concezione della tutela della persona, unione indissolubile di anima e corpo.
La persona che, creata ad immagine e somiglianza di Dio, non doveva venire a trovarsi in condizioni di crescente disagio (economico, morale e sociale).
Ribadendo il valore della proprietà privata quale diritto naturale che lo Stato non poteva sopprimere, la Chiesa si poneva in continuità con il precedente Magistero ed a fianco della persona e dei corpi intermedi (in primis la famiglia), incoraggiando, sostenendo e denunciando gli abusi e le offese alla dignità personale, familiare, economica e sociale. In questo senso andava recepita la condanna del liberismo sfrenato e della lotta di classe in senso marxistico che, sempre nelle parole del Pontefice, sono contro natura e contrarie alla concezione cristiana della vita. Anche attraverso l’enciclica del 1931: “Quadragesimo anno” di Pio XI si dissipavano i dubbi, per i cattolici, nei confronti di ogni forma di socialismo, anche moderato. Così si esprimeva inequivocabilmente il Santo Padre: “Non è da ammettersi in alcun modo che i cattolici aderiscano al socialismo moderato: sia perché è una concezione di vita chiusa nell’ambito del tempo, nella quale si ritiene obiettivo supremo della società il benessere, sia perché in esso si propugna una organizzazione sociale della convivenza al solo scopo della produzione, con grave pregiudizio della libertà umana”. Queste frasi, ancora molto attuali, non dovrebbero portare a tentennamenti, soprattutto coloro che pensano, come cattolici impegnati in politica, di appoggiarsi agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa. Nel ribadire l’opposizione radicale tra comunismo e cristianesimo, la quale portò nel 1949 alla scomunica del comunismo, il Pontefice intendeva presidiare la vera libertà della persona, anche condannando, assieme al comunismo, l’imperialismo internazionale del denaro.
Questo sconvolgimento dell’ordine naturale e sociale, dettato dalle disumane ideologie e dai totalitarismi che ne sarebbero derivati, sarebbe stato ricomposto se si fosse riconosciuto il vero ordine istituito da Dio.
Per porre rimedio a tale devastante disordine, il supremo Pastore indicava i principi fondamentali, il reinserimento del mondo economico nell’ordine morale e il perseguimento degli interessi, individuali e di gruppo, nell’ambito del bene comune. Anche il Radiomessaggio della Pentecoste 1941 di Papa Pio XII, a cinquant’anni dalla Rerum novarum, rivendicava alla Chiesa “la inoppugnabile competenza di giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con l’ordine immutabile che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo del diritto naturale della rivelazione”.
Era molto importante poiché, anche dalle condizioni economico e sociali, poteva venir meno la possibilità di salvezza della persona e dell’umanità intera. Il Pontefice aveva a cuore tre valori fondamentali che si intrecciavano e si saldavano assieme: l’uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia. In merito al lavoro, Pio XII ribadiva che esso fosse simultaneamente un dovere e un diritto dei singoli esseri umani. Riguardo la famiglia, il sommo Pontefice affermava che la proprietà privata dei beni materiali andava considerata come spazio vitale della famiglia.
Papa Giovanni XXIII, nel rinnovare la cura apostolica e la tradizione del Magistero, si poneva quindi in continuità con i venerati predecessori, rinvenendo tuttavia mutamenti sociali ed epocali sopravvenuti, ai quali la Chiesa doveva dare risposta. In campo scientifico-tecnico-economico infatti: la scoperta dell’energia nucleare, le sue prime applicazioni a scopi bellici (ricordiamo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki), le possibilità sconfinate aperte dalla chimica nelle produzioni sintetiche, l’estendersi dell’automazione nel settore industriale, la quasi scomparsa delle distanze nelle comunicazioni per effetto soprattutto della radio e della televisione … come in campo sociale e politico soprattutto le questioni derivanti dal tramonto dei regimi coloniali, ponevano questioni scottanti all’uomo riguardanti i mezzi ed il fine della loro vita.
Una nuova sfida che, agli inizi di quegli accesi anni ’60, la Chiesa non doveva e non poteva sottrarsi.
Una Chiesa, madre e maestra di tutte le genti, secondo le parole conclusive dell’enciclica di Giovanni XXIII, la cui luce illumina, accende, infiamma; la cui voce ammonisce, piena di celeste sapienza; la cui virtù presta sempre rimedi così efficaci e così adatti alle crescenti necessità degli uomini, alle angustie e alle ansietà della vita presente.
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