Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

domenica 7 maggio 2017

Karl Rahner e la svolta antropologica

Lo stimmatino Cornelio Fabro (Flumignano 1911 – Roma 1995) è uno degli esempi più emblematici, di ciò che sarebbe potuto essere, e non fu, l’auspicato rinnovamento conciliare. Studioso intrepido e versatile, conoscitore profondo e sistematico sia della filosofia classica e medievale che di quella moderna e contemporanea di impronta germanica (Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger), eccellente pastore di anime e parroco operoso fino all’ultimo, padre Fabro vide a poco a poco scemare la sua influenza negli anni del post-Concilio, in nome dei nuovi teologi e della loro biasimevole “svolta antropologica”.
Nel suo libro appena ristampato (La svolta antropologica di Karl Rahner, edizioni EDIVI, Segni 2011, pp. 210, euro 27). Egli si confronta con uno dei più importanti studiosi del fronte progressista, il padre e gesuita Karl Rahner (1900 – 1984). Fabro, in un certo senso, è l’anti-Rahner per eccellenza, e la sua speculazione teologica e filosofica resta sempre, convintamente, all’interno dell’ortodossia, della Tradizione e di quel retto pensiero classico e cristiano che non è un limite frapposto alla ragione, ma semmai un trampolino.
Secondo padre Fabro, il gesuita tedesco partendo da un «soggettivismo radicale, mai finora tentato dopo la crisi modernistica», «non teme di capovolgere i principi fondamentali del realismo tomistico» (p. 7), miscelando sapientemente tomismo e idealismo, tomismo e Kant, tomismo e Heidegger. Per la scorrettezza metodologica assunta – che arriva sino alla falsificazione testuale (cf. p. 65ss.) – si può parlare secondo lo stimmatino di «depravazione ermeneutica del tomismo» (p. 7).
Un nemico mortale della dogmatica cattolica come Rahner, che proprio per questo diverrà un caposcuola nel postconcilio, ha una saccenza che appare assolutamente dogmatica a Fabro, non avendo il tedesco «mai preso in considerazione le riserve e le critiche di alcun genere» (p. 8). Nella prima parte dell’opera, Fabro dimostra un primo assunto della speculazione rahneriana e cioè l’identità di essere e conoscere: «tesi centrale della concezione rahneriana» (p. 32). Rahner infatti scrisse: «Sein und Erkennen ist dasselbe» (p. 35).
Che da qui vada in fumo tutta la grande filosofia cristiana fondata giustappunto sulla chiara distinzione (metafisica, ontologica, essenziale) fra essere ed essere conosciuto, appare perfino banale. Per Rahner infatti è la «soggettività umana» il centro di tutto, perfino «dello svelarsi dell’essere» e della «divina rivelazione» (cf. p. 13). La tesi annessa è quella della «priorità fondante del pensiero sull’essere» (p. 23), chiaro capovolgimento della tradizione tomistica, aristotelica, platonica e parmenidea.
Secondo il Nostro, il gesuita «ha fatto la sua opzione a favore del principio moderno di immanenza» (p. 25): è l’uomo che ora stabilisce i confini dell’essere, è il pensiero pensante che pone Dio nella misura dell’utile (Kant). Inutile insistere. Nuovi recentissimi studi, come quelli di padre Cavalcoli, hanno confermato ad abundantiam l’assunto fabriano e cioè che «l’impianto della sua interpretazione [di Rahner] era viziato nel suo fondamento» (p. 49), e le conseguenze non potevano non coinvolgere tutta la dottrina cattolica: dogmatica, morale, ecclesiologica, liturgica, etc.
Rahner, «il deformator thomisticus radicalis» (p. 81), ha usato san Tommaso per ingannare, con un linguaggio contorto e farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa Chiesa docente: molti purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex post che quasi non aspettassero altro… In estrema sintesi Rahner appare come il vate dell’ «orizzontalsimo antropologico» (quasi un Feuerbach cattolico) il quale, «contrastato prima del Concilio» è poi divenuto «il portabandiera della nuova versione nordica del cristianesimo immanentistico» (p. 60). E questo anche grazie all’ «appoggio di una parte notevole dell’episcopato tedesco» (p. 65, n. 122). (Fabrizio Cannone)

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