Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

venerdì 20 luglio 2018

Il tramonto dell'Occidente

di Gennaro Cangiano. 

Perchè siamo in crisi? O, meglio, perchè l'Italia non vive la crisi in atto come gli altri paesi occidentali?
Effettivamente sembra un mistero; il fatto che a parità di condizioni l'Italia non riesca a crescere economicamente come altri paesi non sembra avere, almeno nella narrazione predominante, una spiegazione esauriente. Sicuramente esistono delle verità ormai acclarate, come il fatto che l'euro sia di fatto un limite oggettivo nelle dinamiche macroeconomiche caratterizzanti le relazioni internazionali che riguardano il nostro paese, ma, per quanto siano determinanti tali dinamiche, non bastano a spiegare tutto; non bastano a spiegare la decadenza oggettiva che interessa ogni aspetto della nostra società. La risposta che mi sento di dare, pur rimanendo ancora nella fenomenologia sintomatica di tale decadenza, è una singola parola che racchiude in sè molto di più di quanto il significato letterale lasci intendere: denatalità.

Il calo demografico importante che stà interessando l'Italia, ma anche il resto dell'occidente pur con numeri diversi (in Europa solo la Germania ha numeri peggiori dei nostri), si stà registrando da troppi decenni per essere considerato effetto della crisi economica contingente. In momenti ben più duri economicamente, inoltre, il nostro paese faceva registrare un altissimo tasso di nascite, negando di fatto il nesso causale che vede il fenomeno come conseguenza della crisi. In effetti quello che appare vero è il contrario e cioè che la crisi è causata dal calo demografico.
Cerchiamo di capirci:
A partire dal 1960 avviene nel mondo occidentale una vera e propria rivoluzione culturale. Il crollo dei valori tradizionali che per secoli avevano regolato le relazioni umane si estende inesorabilmente a tutti i campi. Il Concilio Vaticano II asseconda tale crollo, instaurando un dialogo con le tendenze moderne e rimuovendo l'argine che la morale cattolica era stata fino ad allora nei confronti dei processi sociali che si andavano dipanando e la rivoluzione sessuale sessantottina segna il vero punto di svolta. Si afferma cioè il principio che vede scissi i concetti di sessualità e procreazione in maniera inedita. Nella gerarchia ecclesiastica e nel mondo teologico internazionale si registrano gli stessi picchi rivoluzionari; basti pensare agli attacchi senza precedenti all'enciclica Humanae vitae in cui Paolo VI ribadiva la morale cattolica di sempre in materia di famiglia, sessualità e contraccezione.
Uscito dagli argini, il fiume in piena della dissoluzione investe tutto e, nel giro di dieci anni, diviene lecito sia l'aborto che il divorzio.
Quindi si spinge affinchè la sessualità diventi puro piacere senza responsabilità, in una dimensione ludica completamente slegata da ogni progettualità familiare; la contraccezione diviene strumento principe di tale nuova interpretazione culturale della realtà e l'aborto si identifica come pratica estrema in linea con la stessa interpretazione. Il divorzio introduce infine quella precarietà nell'unione familiare che limita, anche con la sua sola possibilità, il concetto stesso di progetto a lungo termine  necessario per mettere al mondo un figlio; l'imposizione dell'ideologia gender è solo l'ultimo passo di uno stesso percorso. Il risultato, dopo trent'anni esatti dal 1968, è un crollo demografico pauroso; la popolazione italiana stà diminuendo ed invecchiando come mai prima.

Dal punto di vista economico è facile comprendere la relazione.
Un bambino che nasce dà valore a tutte le merci che consumerà nella sua vita, dalla nascita fino alla tomba. Avrà dunque senso produrre quelle merci e tale processo produrrà posti di lavoro e benessere economico. Se, come stà avvenendo da decenni, la popolazione non cresce, ma diminuisce, non ci sarà necessità di produrre merci che nessuno consumerà e quindi i posti di lavoro diminuiranno; l'invecchiamento progressivo della popolazione, con sempre meno giovani nel mondo del lavoro, rende insostenibile il sistema pensionistico, gravato anche dall'elevato numero di disoccupati che devono essere assistiti dallo Stato.
A tale inesorabile crisi si è cercato negli anni di porre degli argini senza però mai affrontare il nodo della denatalità con politiche efficaci per la famiglia. Nel momento in cui diminuiva il numero di persone che consumavano le merci prodotte, si è preferito rimediare aumentando il più possibile il numero di merci consumate per persona, avviando il processo consumistico che ha oggi invaso ogni aspetto delle nostre società. Come ogni processo basato su numeri finiti però, tale consumismo ha smesso ben presto di essere la soluzione, saturando completamente la capacità economica della popolazione ed andando così ad incidere ancora negativamente sulla possibilità reale di mettere al mondo figli, innanzitutto per l'impossibilità di garantire loro gli stessi livelli di consumo che si sono oggi affermati come necessari.
È un piano inclinato su cui stiamo lentamente, ma inesorabilmente, scivolando verso l'estinzione. Negli ultimi dieci anni si è pensato di ovviare al problema in due modi che ancora non si erano sperimentati realmente. Da un lato si è incentivata l'immigrazione di nuova forza lavoro dall'estero e, dall'altro, si è ovviato al calo dei consumi puntando sull'esportazione delle merci in surplus. Il problema è che nessuno dei due provvedimenti risulta realmente risolutivo.
Per incentivare l'immigrazione infatti si è dovuta destabilizzare una parte consistente del mondo che, altrimenti, non si vede perchè sarebbe dovuta venire da noi; questa cosa ha portato a dover affrontare fenomeni estremamente delicati e complessi come il terrorismo islamico internazionale. In più lo stesso processo migratorio in sè non è affatto indolore, visto che l'integrazione non è quasi mai immediata, con tempi che si misurano in generazioni, i costi sociali sono alti e comprendono anche la crescita di fenomeni di intolleranza. Ma, quello che salta agli occhi, è che nemmeno l'immigrazione sfrenata di questi ultimi anni riesce ad arginare il crollo demografico, dovendosi registrare numeri di giovani italiani emigranti comunque più alti di quelli che in un modo o nell'altro entrano nel nostro paese.

La politica economica mercantilista invece si stà rivelando deleteria sia perchè troppo vulnerabile a shock esterni, sia perchè provoca reazioni protezionistiche e di ostilità commerciale. Insomma non è la crisi economica che provoca la crisi morale e la decadenza, ma il contrario: è la decadenza morale che deturpa l'intero contesto sociale ed economico.
Inutile girarci intorno; senza il cedimento morale e dottrinale della Chiesa oggi non saremmo a questo punto o, comunque, non lo saremmo negli stessi modi nichilisti di oggi.
Quale è la possibile soluzione? È ancora possibile tornare indietro? Percorrere a ritroso una rivoluzione culturale?
In realtà nulla è impossibile, ma, per poter realmente intravvedere la strada, bisogna fino in fondo fare onestamente i conti con la realtà.
Quello descritto fino ad ora è in parte una fenomenologia comune a tutte le società decadenti della storia. La perdita di ogni slancio ideale, causata dalla soddisfazione scontata di ogni bisogno, vero o presunto; la convinzione, giusta o sbagliata che sia, di vivere nel migliore dei mondi possibili, inverano la perdita di senso della propria esistenza. L'inesistenza di uno scopo vero dirotta le energie nella soddisfazione dei piaceri immediati, logorando dall'interno la necessaria spinta alla progettualità del futuro. Fu così per l'impero romano, fu così per l'ancien regime e fu così per la società moderna tardo ottocentesca. Quello che però oggi appare differente è la mancanza di punti di riferimento. In tutte le precedenti crisi citate la voce del magistero della Chiesa si era sempre distinta ribadendo la sola e unica verità di Cristo, indicando agli uomini un punto di riferimento comunque fermo a cui aggrapparsi; oggi quella voce appare molto affievolita. La tendenza ad assecondare il mondo ha progressivamente soppiantato l'annuncio della Verità a cui il mondo è chiamato a convertirsi; l'ultimo sinodo sulla famiglia ha esposto la nuova concezione di Chiesa allo sbigottimento dei fedeli, mentre l'esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia ha certificato la capitolazione del Katekon al mondo. Eppure non esiste altra istituzione che poggi le sue fondamenta sulla roccia della Verità, non esiste altra autorità degna di essere considerata veramente tale. Che fare dunque? I cattolici devono professare la dottrina di sempre nonostante i pastori spesso tendano a contraddirla; i giovani devono autonomamente riscoprire la reale via morale alla salvezza che, nonostante le dichiarazioni di porporati apostati, è ancora lì, intatta, nel magistero infallibile della Chiesa. Bisogna riscoprire le verità proclamate dai papi e che nessuno può contraddire. Rileggere la "Sollecitudo rei moralis" e la "Familiaris consortio" di San Giovanni Paolo II, così come la "Caritas in veritatis" di Benedetto XVI. Chi lo facesse vedrebbe davanti a sè la luce che illumina la strada stretta, l'unica che porti ad una reale riappropriazione di senso per la propria vita. Ritroverebbe immediatamente ogni motivazione al progetto, al combattimento con il mondo, alla realizzazione vera di sè.

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