Spesso mi chiedo come sia possibile conciliare le mie riflessioni, filosofiche e teologiche, con quello che si osserva essere la nuova teologia della Chiesa. L'ultimo sinodo sull'amazzonia ha tracciato un solco profondo tra il mio pensiero e quello che la gerarchia ecclesiastica sta indicando come la via da seguire. Inutile nascondere che era possibile osservare anche prima delle palesi incongruenze, tra l'altro già da me evidenziate in più di un'occasione, ma ora la situazione appare diversa. Non mi riferisco alle aperture al diaconato femminile o al sacerdozio possibile per uomini sposati, entrambi sono aspetti che potrebbero essere intesi come puramente funzionali a delle necessità pratiche, già viste nella storia passata della Chiesa, ma che non intaccano la struttura della dottrina in quanto tale se intese nel solco di un'impostazione teologica solida. Piuttosto mi riferisco alla visione panteistica a cui il sinodo apre senza nemmeno il pudore di nascondere le proprie intenzioni.
I riti pagani ospitati dalle basiliche romane in occasione del sinodo, i continui riferimenti alla madre terra come divinità, la spiritualità indigena presentata come non bisognosa di evangelizzazione, ma anzi depositaria di una rivelazione originaria, l'ecologismo elevato a teologia non lasciano dubbi. Si fa fatica ad intravvedere ancora qualcosa di cattolico. Dietro ad un'apparenza esteriore di continuità si procede spediti verso lo svuotamento di quello che abbiamo conosciuto come cattolicesimo, assimilato nel suo messaggio spirituale agli errori del colonialismo, come se le due cose fossero sovrapponibili, come se fosse possibile l'equazione tra Cristo ed il peccato... Invece il risultato degli sproloqui sinodali è proprio questo, lasciando intendere che l'intera epopea dell'evangelizzazione dell'America Latina sia stata un errore.
Niente di nuovo sotto il sole... Il mito del buon selvaggio lo conosciamo bene, come il pensiero di coloro che lo proponevano ai tempi del giacobinismo rivoluzionario. L'ultima sua versione si struttura nella teologia della liberazione, formalmente condannata in maniera infallibile da Giovanni Paolo II, ma praticamente incentivata dalle nuove gerarchie che sembrano aver perso il senno.
Si badi bene che in questo caso la parola liberazione non ha niente di spirituale in se, ma esprime un puro materialismo che riesce ad andare oltre la visione puramente marxista, che comunque si presentava come lettura politica ed economica, elevandola a teologia e, quindi, ad un antropologia che esclude completamente il messaggio cristiano se non come pura estetica della forma.
Il nuovo messianismo ecologista alla Greta è indicato come esempio da seguire, dove il peccato non è più contro Dio, ma contro la madre terra e dove il paradiso è inesorabilmente materiale e coincide con tutto quello che esclude il pensiero cristiano come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 2000 anni. Non vi è più alcun riferimento alla trascendenza di Dio... Tutto si risolve in un umanesimo che vede l'uomo coincidere con la propria bestialità.
In questa nuova teologia il concetto di salvezza universale non trova spazio, ma è un inutile intralcio che infatti ci si affretta a liquidare. L'indio amazzonico è già salvo, perché depositario di un rapporto con la natura inalterato da qualunque civilizzazione e quindi, come un cardinale ha avuto cura di dichiarare pubblicamente, è lui che deve evangelizzare la Chiesa e non viceversa. Lo sciamanesimo irrompe nel cuore della Chiesa di Cristo per opera dei suoi stessi custodi, che si illudono di poter disporre del messaggio evangelico a proprio piacimento... Staremo a vedere. Gli uomini passeranno, ma la parola di Dio non passerà e con essa la sua giustizia. Quelli come me non hanno altro posto dove andare al di fuori dell'unica Chiesa di Cristo e attendono con fiducia che il suo capo, che è Cristo e non il papa, illumini i suoi ministri o ce ne liberi.
Gennaro Cangiano (M.I.)
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