di Vincenzo Fiorillo.
La Chiesa cattolica ha sempre riservato un'attenzione particolare ai problemi teologici e pastorali sollevati dall'eutanasia,visto l'importante coinvolgimento sociale e personale di questo tema di interesse bioetico.
La visione cristiana di questo fatto parte dal principio fondamentale che la vita umana è un dono di Dio e come tale va difesa e sempre vissuta anche nelle situazioni più critiche quali la sofferenza e la morte stessa.
La stretta e inscindibile connessione fra suicidio ed eutanasia ha già indicato alcuni presupposti di una cultura eutanasica e, in particolare, una considerazione della persona umana come soggetto di un diritto onnipotente sulla propria vita e sulla propria morte. La vita umana, per poter ammettere l'eutanasia, deve essere considerata qualcosa alla mercé dell'uomo. Proprio a questa profondità s'incontra un'insanabile opposizione fra una considerazione della vita come dono di Dio, bene di cui l'uomo è beneficiario e responsabile, ma non possessore,
o della vita come accidente biochimico, di cui ciascuno può disporre a proprio piacimento e irresponsabilmente.
o della vita come accidente biochimico, di cui ciascuno può disporre a proprio piacimento e irresponsabilmente.
In tal senso, la valutazione etica del suicidio si può applicare all'eutanasia: essa si oppone direttamente ai doveri verso Dio Padrone e Signore della vita , a quelli verso il prossimo nel caso dell'eutanasia, sia da parte di chi la richiede, sia da parte di chi la pratica e a quelli verso sé stessi [1]. Il Magistero della Chiesa da tempo è intervenuto estesamente e puntualmente in tema di eutanasia [2]).
La "morte dolce" e il Magistero della Chiesa cattolica
Nell'insegnamento del Concilio Vaticano II confluiscono alcuni interventi specifici di Pio XII [3] sull'eutanasia e dal magistero conciliare si sviluppano gli interventi successivi dei Pontefici Paolo VI [4] e Giovanni Paolo II, analogamente a numerosi testi dottrinali dei vescovi di tutto il mondo [5].
Nel 1980, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento dal titolo «Dichiarazione sull'eutanasia -“Iura et bona”»- che ancora oggi costituisce uno dei pronunciamenti dottrinali più importanti in questa materia.
La dichiarazione istituisce alcuni principi fondamentali che la Chiesa , nel corso della suo lungo cammino, considera definitivi e universalmente validi: il riconoscimento che la vita umana è creazione di Dio ed è sacra; il primato dell'individuo rispetto alla società; il dovere delle autorità di rispettare la vita umana.
Questi stessi principi sono stati confermati nell'enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium Vitae” [6] che è la riproposizione più autorevole dei vari interventi del Magistero della Chiesa ed è affermato solennemente:
«In conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa Cattolica, confermo che l'eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata , moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta e trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell'omicidio (Evangelium Vitae, 65).
Converrà ripercorrere i temi principali di tale insegnamento leggendo alcuni brani dell'enciclica Evangelium vitae, in cui Papa Giovanni Paolo II dedica a questa realtà un'attenzione tutta particolare [7].
Nel primo capitolo viene tratteggiato il contesto sociale in cui l'eutanasia viene a tema: si tratta di un'”atmosfera culturale” che non coglie nella sofferenza alcun significato o valore, anzi la considera il male per eccellenza, da eliminare ad ogni costo; il che avviene specialmente quando non si ha una visione religiosa che aiuti a decifrare positivamente il mistero del dolore.
"Ma nell'orizzonte culturale complessivo non manca di incidere anche una sorta di atteggiamento prometeico dell'uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte perché decide di esse, mentre in realtà viene sconfitto e schiacciato da una morte irrimediabilmente chiusa ad ogni prospettiva di senso e ad ogni speranza". (E. V. ,15)
Al terzo capitolo, e sottolineando la stretta connessione fra eutanasia, suicidio e omicidio, il Sommo Pontefice scrive:
"[...] il suicidio è sempre moralmente inaccettabile quanto l'omicidio. La tradizione della Chiesa l'ha sempre respinto come scelta gravemente cattiva. Benché determinati condizionamenti psicologici, culturali e sociali possano portare a compiere un gesto che contraddice così radicalmente l'innata inclinazione di ognuno alla vita, attenuando o annullando la responsabilità soggettiva, il suicidio, sotto il profilo oggettivo, è un atto gravemente immorale, perché comporta il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme [8].
Nel suo nucleo più profondo, esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte, così proclamata nella preghiera dell'antico saggio di Israele: "Tu hai potere sulla vita e sulla morte; conduci giù alle porte degli inferi e fai risalire" (Sap 16, 13; cf. Tb 13, 2). "Condividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante il cosiddetto "suicidio assistito" significa farsi collaboratori, e qualche volta attori in prima persona, di un'ingiustizia, che non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta. "Non è mai lecito - scrive con sorprendente attualità sant'Agostino - uccidere un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere" [9]. (Evangelium Vitae, 66)
La Chiesa cattolica ha sviluppato i suoi insegnamenti al fine di chiarire e differenziare i diversi concetti di eutanasia e contemporaneamente ampliare il dibattito per contenervi le differenti forme, dall'eutanasia neonatale all'eutanasia sociale, sottolineando, in particolare, il dovere della comunità cristiana di offrire un'assistenza adeguata al morente.
Nella dottrina cattolica, l'eutanasia in senso stretto viene definita come “un'azione o un'omissione che, in sé e nell'intenzione, causa la morte, al fine di sopprimere ogni dolore”. L'eutanasia, pertanto, si situa al livello delle intenzioni e dei mezzi impiegati. Il giudizio morale della Chiesa sull'eutanasia è chiaro e categorico:
«(…)Nulla e nessuno può in alcun modo autorizzare l'assassinio di un essere umano innocente, sia esso un feto o un embrione, un neonato o un adulto, anziano, sofferente incurabile, o morente. Inoltre, nessuno è autorizzato a richiedere questo atto omicida, per sé o per un'altra persona affidata alla sua responsabilità, ne può dare il suo consenso, sia in modo esplicito che implicito. Ne alcuna autorità può legittimamente obbligare qualcuno a farlo, poiché si tratterebbe di una violazione della legge divina, di un'offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita e di un attentato all'umanità».
“Questa dottrina si fonda sulla legge naturale e sulla parola scritta di Dio,è trasmessa dalla tradizione della Chiesa [10] ed è insegnata dal magistero ordinario e universale” [11].
La stessa condanna è stata riconfermata a proposito del suicidio e di ciò che si definisce “suicidio assistito”.
Il rifiuto dell'eutanasia e del suicidio per i cristiani, ha le sue radici nella fede e nella speranza in Cristo , che con la sua sofferenza e resurrezione, ha conferito un nuovo significato all'esistenza e sofferenza umana. Una fonte possibile di bene se vissuta attraverso l'amore, come partecipazione alla sofferenza di Cristo crocefisso.
Il mistero pasquale di Cristo non soltanto ha redento la morte, causata dalla forza del peccato, ma l'ha resa per ogni uomo pegno di risurrezione e di vita eterna in Dio.
L'apostolo Paolo, nella sua prima lettera ai Corinti, così ragiona:
“Se non esiste la risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! … Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto … Ora invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Da queste premesse, San Paolo giunge a questa conclusione: “Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste”. Sarà un corpo rivestito di immortalità e, pertanto l'apostolo può citare, con un tono di vittoria, le parole della Scrittura: “La morte è stata ingoiata per la vittoria”.
Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?” (cfr. 1 Cor 15,12 e ss.).
Avendo Gesù varcato i confini della morte, anche l'uomo redento entra nella sua stessa vita pasquale.
Questa visione teologica ed esistenziale del morire attenua certamente, se non lo toglie del tutto, il dramma psicologico e spirituale che esso comporta.
Gli aspetti negativi di violenza come il distacco da se stessi e dagli altri, sono supportati validamente dal fatto che per il credente questo è il momento dell'incontro con Dio che chiama ad esistere in una nuova dimensione e da' alla vita la pienezza del godimento eterno. Soltanto in questa lucesi può afferrare il vero significato della morte come il traguardo della piena maturità.
Nel concludere la sua celebre «Lettera agli anziani», Giovanni Paolo II scriveva:
“Nonostante le limitazioni sopraggiunte con l'età', conservo il gusto della vita … Al tempo stesso trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà di vita in vita” [12].
Accanimento terapeutico
La Chiesa fa differenze tra l'eutanasia e
“ la decisione di rinunciare all'accanimento terapeutico, in altre parole, a procedure mediche che non corrispondono più alla reale situazione del paziente, sia perché sono sproporzionate rispetto ai risultati attesi, sia perché impongono un peso eccessivo al paziente e alla sua famiglia,… purché non vengano interrotte le normali cure dovute alla persona malata in casi simili “ .
“La sospensione dei mezzi sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte” [13] .
In ogni caso , in tali situazioni le decisioni devono essere guidate dal principio della
Proporzionalità del trattamento. E' anche ammesso, con il consenso del paziente l'uso
Di metodiche nuove e sperimentali, purché non siano pericolose.
Il concetto fondamentale del diritto a morire con dignità, non deve intendersi come il diritto di infliggersi la morte o nel farsela procurare, nel modo in cui si desidera, piuttosto è il diritto a morire in tutta serenità e con dignità umana e cristiana.
In questa ottica la Chiesa assegna un'importanza particolare alle cure palliative.
In tale contesto s'inserisce, inoltre, la questione della legittimità del ricorso a diversi tipi di sedativi e analgesici per alleviare il dolore dell'ammalato, qualora essi rischiano di abbreviare la vita del paziente.
In passato papa Pio XII aveva già affermato a proposito dell'uso dei narcotici per alleviare il dolore è legittimo -anche se avessero l'effetto di ridurre la coscienza e di abbreviare la vita - “se non esistono altri mezzi” [14] .
In tale situazione , la morte non è voluta o cercata, bensì è un rischio che si corre per motivi ragionevoli, al fine di mettere fine al dolore usando con efficacia gli analgesici.
Non è neanche giusto privare il morente della coscienza senza una seria ragione , concetto ribadito dall'enciclica Evangelium Vitae. Quando la morte si avvicina, vi sono dei doveri morali, familiari e religiosi che le persone devono poter compiere.
E' altresì importante e prioritario istituire un dialogo con i pazienti e mantenerli informati.
La Chiesa fa osservare che le occasionali implorazioni di morte da parte di persone gravemente ammalate non vanno interpretate come un desiderio di eutanasia, esse , sono quasi sempre come implorazioni indirette non tanto ad avere cure mediche appropriate quanto per ricevere una maggiore attenzione e interesse da parte di chi li circonda .
“La persona malata che si sente avvolta dalla presenza amorevole umana e cristiana non cede alla depressione e all'angoscia, come colui che, sentendosi abbandonato al suo destino di sofferenza e di morte, domanda di mettere fine alla sua vita. E' per questo che l'eutanasia è una sconfitta per chi la propone, la decide e la compie” [15] .
Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "perversione" di essa: la vera "compassione", infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se viene compiuto da coloro che - come i parenti - dovrebbero assistere con pazienza e con amore il loro congiunto o da quanti - come i medici -, per la loro specifica professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni terminali più penose.
"La scelta dell'eutanasia diventa più grave quando si configura come un omicidio che gli altri praticano su una persona che non l'ha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. Si ripropone così la tentazione dell'Eden: diventare come Dio "conoscendo il bene e il male" (cf. Gn 3, 5)
Per chi legge questi testi , non ci vuole molto a capire che la conseguenza del peccato e il relativo castigo è la morte, non intesa in senso puramente biologico, ma come maledizione per il clima di paura , di angoscia e di interrogativi che accompagnano l'uomo che non riesce a comprenderne il senso L'uomo è all'oscuro di ciò che l'attende e teme che una volta morto per lui sia tutto finito e in particolare teme che al momento della morte si venga a spezzare ogni legame con Dio. Ma Dio solo ha il potere di far morire e di far vivere: "Sono io che do la morte e faccio vivere" (Dt 32, 39; cf. 2 Re 5, 7; 1 Sam 2, 6). Egli attua il suo potere sempre e solo secondo un disegno di sapienza e di amore.
Quando l'uomo usurpa tale potere, soggiogato da una logica di stoltezza e di egoismo, inevitabilmente lo usa per l'ingiustizia e per la morte. "Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone" [16].
Note
[1] Cfr. una presentazione del tema "suicidio" e delle coordinate della sua valutazione etica, in L. CICCONE, Non uccidere. Questioni di morale della vita fisica , Ares, Milano 1984; M. F. SCIACCA, Morte e immortalità , L'Epos, Palermo 1990; e L. CANTONI, «Su alcune dimensioni del suicidio. Il caso dell'Emilia Romagna», in Medicina e Morale. Rivista internazionale bimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale Medica , nuova serie, anno XLIV, n. 6, novembre-dicembre 1994, pp. 1143-1160.
[2] In argomento v. anche G. FRAVOLINI - L. CANTONI, «Thanatos ed eutanasia», in Cristianità , 249, 1996.
[3] Papa Pio XII, Enciclica Mystici corporis , 29 giugno 1943; discorso all'Unione internazionale medico-bioligica di San Luca, 1944; discorso al primo Congresso internazionale di Istopatologia del sistema nervoso, 14 settembre 1952; discorso all'Unione cattolica degli ostetrici, 29 ottobre 1951; discorso al nono Congresso della Società italiana di anestiosologia, 24 febbraio 1957; e discorso al Congresso internazionale del Collegium internazionale neuropsicofarmacologicum 9 settembre 1958.
[4] Papa Paolo VI, discorso al Collegio Internazionale di Medicina psicosomatica, 9 settembre 1975.
[5] La Chiesa cattolica ritiene che la protezione della vita umana abbia un fondamento laico e razionale: è stata definita da Pio XII come diritto naturale e dalla Sacra Congregazione per la dottrina della fede come diritto umano fondamentale. Pontificio Consiglio “Cor Unum”, Questioni etiche relative al malato grave e al morente 27 giugno 1981.
[6] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae sul valore e l'inviolabilità della vita umana, 25 marzo 1995.
[7] Cfr. GONZALO MIRANDA, «I problemi etici dell'eutanasia nell'Enciclica "Evangelium Vitae"», in Medicina e Morale. Rivista internazionale bimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale Medica , nuova serie, anno XXLV, luglio-agosto 1995, pp. 719-738.
[8] Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull'eutanasia Iura et bona , cit., I: AAS 72 (1980), 545; Catechismo della Chiesa Cattolica , nn. 2281-2283.
[9] AGOSTINO, Epistula 204, 5: CSEL 57, 320.
[10] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiaraione sull'eutanasia “Iura et Bona”, n. 2
[11] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes n. 2 e Cost dogm. Lumen Gentium n. 25
[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli anziani 1999, n. 17
[13] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae , n. 67
[14] PIO XII, Discorso a un gruppo internazionale di medici 21 febbraio 1957.
[15] PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DEGLI OPERATORI SANITARI, Carta degli operatori sanitari, n. 149, CITTÀ DEL VATICANO 1995.
[16] Giovanni Paolo II, Lett. Enciclica Evangelium Vitae sul valore e l'inviolabilità della vita umana, cit., n. 66.
Nessun commento:
Posta un commento