Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

sabato 20 maggio 2017

L'abominio che chiamano civiltà


Emma BoninoIl 22 maggio è l’anniversario della Legge 194 che dal 1978 regolamenta l’interruzione di gravidanza in Italia. Come ha giustamente sottolineato Massimo Pandolfi, caporedattore de “Il Resto del Carlino”«passano gli anni, ma le bugie ideologiche che circondano l’argomento aborto continuano, imperterrite». La menzogna più grande che ancora oggi si ripete è la stessa usata dai Radicali di Emma Bonino nei confronti degli italiani: la legge servirebbe per ridurre o eliminare gli aborti clandestini che sarebbero stati un milione all’anno prima del 1978.
Basterebbe una persona di buon senso, dunque non un Radicale, per capire che se sono aborti clandestini è impossibile fornire un numero preciso o una variazione nel tempo. In ogni caso basta un piccolo ragionamento, come ha fatto Antonio Socci nel 2008: se si ipotizza un milione di aborti clandestini all’anno ne deriva un tasso medio di abortività (rapporto tra il numero delle IVG effettuate ogni 1000 donne in età fertile, tra i 15 e i 49 anni) in base al quale – alla fine – tutte le donne italiane avrebbero praticato nella loro vita almeno 2,8 aborti procurati clandestini. E’ ovviamente impossibile.
«L’aborto clandestino – dicevano – provocava ogni anno in Italia la morte di 25 mila donne. Per questo fu reso legale e assistito» scrive Socci. Il dato era ovviamente falso, dall’Annuario Statistico del 1974 risulta infatti che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 1972, cioè prima della legge 194, furono in tutto 15.116. Anche ipotizzando che fossero morte tutte a causa di un aborto clandestino, chiaramente è un’ipotesi assurda, non sarebbero comunque 25.000! In realtà erano 409 le donne morte per gravidanza o parto, certamente molte meno (qualche decina) a causa di aborto clandestino. La conclusione è una sola: «le cifre sparate dalla propaganda abortista (25 mila donne morte) che hanno portato alla legalizzazione dell’aborto erano del tutto infondate. Erano balle. Lo conferma il fatto che dall’entrata in vigore della legge 194 la mortalità delle donne in età feconda, non ha avuto alcuna significativa diminuzione statistica improvvisa, quindi la 194 non ha modificato alcunché».
Effettivamente la legge 194 è stata anche inefficace rispetto alla diminuzione di aborti. I dati mostrano che le interruzioni di gravidanza sono cresciute notevolmente già subito dopo il 1978: 68.000 aborti nel 1978; 187.752 nel 1979; 220.263 nel 1980, 224.377 nel 1981; 234.377 nel 1982. Poi c’è stata una diminuzione del numero ma non è pensabile che sia merito della Legge 194 dato che, proprio tale legge, è stata la causa di un progressivo aumento subito dopo la sua emanazione. A limitare il numero di aborti, così come in altri Stati, sono stati diversi fattori, su tutti la maggior consapevolezza della drammaticità dell’aborto, permessa dal progresso della medicina, dalla maggior conoscenza dello sviluppo fetale e dagli studi sul trauma post aborto. Inoltre è diminuita la fertilità generale, è aumentato il ricorso alle pillole abortive e il volontariato pro-life che ha salvato centinaia di bambini.
Della grande menzogna sull’aborto clandestino si è occupato anche Francesco Agnoli in un lungo articolo, spiegando che i Radicali impararono questa tecnica propagandistica dagli americani. Lo ha mostrato Bernard Nathanson, direttore nel 1968 della più grande clinica per aborti del mondo poi passato dalla parte dei pro-life, rivelando le strategie di comunicazione indirizzate a capovolgere l’opinione pubblica. Ad esempio si fornivano “sondaggi fittizi”, nei quali il numero dei favorevoli all’aborto veniva volutamente gonfiato, allo scopo di rendere “normale”, accettabile, l’idea stessa dell’aborto. Bastava inoltre urlare ai quattro venti che le donne, anche senza legalizzazione dell’aborto, abortivano ugualmente, in modo clandestino, senza alcuna sicurezza per la loro salute, col rischio addirittura della vita. In tal modo poteva sembrare che la legalizzazione fosse in qualche modo un male minore, il tentativo di rendere almeno controllabile e più “sicuro”, per le donne, un fenomeno già esistente e, anzi, vastissimo. Le cifre venivano gonfiate e si parlava di un milione di aborti clandestini l’anno, conclude Nathanson, quando ve ne erano, forse, 100.000 (in America).
Guarda caso nel 1971 il Psi ha presentato una proposta per l’introduzione dell’aborto legale, libero, e gratuito, affermando che vi erano tra i 2 e i 3 milioni di aborti annui, e che circa 20.000 donne all’anno muorivano causa di questi interventi. Successivamente, il 15/10/71, in un secondo ddl, il numero degli aborti annui rimaneva stabile ma magicamente era cresciuto a 25mila quello delle donne morte per pratiche abortive clandestine. Nel libro “Da Erode a Pilato” (Marsilio, 1973), di Giuliana Beltrami e Sergio Veneziani, si sostiene anche che prima della 194, vi sono donne “che hanno abortito già dieci, venti volte”, in modo clandestino e che vi siano nientemeno che “quattro aborti per ogni nascita”. A pagina 33 si arriva addirittura ad affermare che vi sono donne “che compiono, nel corso della loro esistenza, fino a trenta e più atti abortivi”. In “L’aborto, un dilemma del nostro tempo” (Etas Kompass, 1970), si apprende invece che il numero di aborti clandestini in Italia, attestandosi tra l’uno e i due milioni, sarebbe di gran lunga superiore a quello degli aborti in America, pur essendo gli Usa quattro volte più popolati!
Si sparavano cifre per legittimare la legalizzazione dell’aborto come evento inevitabile. Tuttavia l’unico studio serio in quegli anni fu quello dei prof. Bernardo ColomboFranco Bonarini e Fiorenzo Rossi, demografi e statistici dell’Università di Padova, intitolato: “La diffusione degli aborti illegali in Italia” (1977), con il quale si mostrò l’infondatezza di tali cifre sottolineando come per mantenere la media di 1 milione di aborti clandestini annui era necessario che almeno il 50% di tutte le donne italiane in età feconda avesse abortito esattamente 5,3 volte nell’arco della propria vita riproduttiva. Ritennero che la cifra attendibile di aborti clandestini si aggirava sui 100.000 tra il 1970 e il 1975. L’aborto divenne comunque legale nel 1978 e l’anno successivo, 1979, le interruzioni di gravidanza legali furono ufficialmente 187.752. E’ possibile che oltre un milione di aborti clandestini e illegali, con punizioni penali per il medico e la donna, possano scendere tanto proprio quando diventano legali e gratuiti? Ovviamente no, questa è un’altra prova di quanto sono stati presi in giro gli italiani.
Oggi il nemico degli abortisti è l’obiezione di coscienza e per tentare di abolire tale diritto si sta tornando alla stessa grande menzogna: “Repubblica”ha infatti recentemente informato che gli aborti illegali sarebbero in aumento perché l’elevato numero degli obiettori renderebbe difficoltoso l’accesso al “servizio”. Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università di Perugia e membro del Comitato nazionale di bioetica, ha tuttavia risposto facendo notare che dalle relazioni annuali (pag. 35) sull’applicazione della legge 194 presentate al Parlamento dal ministro della Salute emerge che non esiste alcuna correlazione fra il numero di obiettori di coscienza e il tempo di attesa delle donne, ovvero quanto passa fra il rilascio del certificato da parte del medico e l’intervento vero e proprio. Anzi è evidenziata addirittura una diminuzione dei tempi di attesa (quindi un andamento opposto a quello prospettato nei giornali). Quindi, «il ricorso massiccio all’obiezione di coscienza non ha impedito l’applicazione della legge 194».
La Morresi ha concluso con un’osservazione molto importante: in caso di sciopero l’efficacia della protesta si misura solitamente dalla numerosità dell’adesione all’interno della categoria professionale coinvolta, e questo vale per tutti i lavoratori. Se la percentuale è oltre all’80%, come quella degli obiettori di coscienza, le proteste non possono essere ignorate: le parti sociali e la politica sarebbero obbligate, giustamente, a intervenire, e non certo per obbligare chi protesta a fare quel che si rifiuta di fare. Per questo occorre interrogarsi seriamente sulle motivazioni di un ricorso così importante all’obiezione di coscienza, un diritto che coinvolge «così profondamente i convincimenti personali dei singoli, come nel caso dell’aborto, che comunque la nostra legge non prevede come diritto della donna, ma come estrema ratio».

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