di Gennaro Cangiano.
Sull’edizione online de La civiltà cattolica del 4 maggio 2019, ho avuto modo di leggere un articolo, a firma Pino Di Luccio e José Luis Narvaja, intitolato «VERITATIS GAUDIUM» E RINNOVAMENTO DEGLI STUDI ECCLESIASTICI. Il testo vuole essere un’esplicitazione di quanto papa Francesco ha espresso nel documento Veritatis Gaudium, lasciando però intravedere alcune inclinazioni interpretative molto particolari. Riporto in corsivo l’articolo, intromettendo alcuni commenti ai punti che più mi sembrano peculiari e che risultano particolarmente in discontinuità con quella che, pur con numerose “aperture” talvolta anche discutibili, è stata la formazione ecclesiale.
In continuità con lo spirito del Vaticano II, la Costituzione apostolica Veritatis gaudium (VG) – promulgata da papa Francesco l’8 dicembre 2017 – attualizza e aggiorna la Sapientia Christiana (15 aprile 1979). Con questa nuova Costituzione circa le università e le facoltà ecclesiastiche papa Francesco desidera mettere in moto un rinnovamento saggio e coraggioso, per la trasformazione missionaria propria di una Chiesa «in uscita».
La domanda che mi pongo è: la Sapientia Christiana del 1979 non era in continuità con lo spirito del concilio Vaticano II? In realtà infatti questa nuova Costituzione apostolica supera quasi del tutto il documento di Giovanni Paolo II; non si limita solo ad aggiornarne alcuni aspetti, ma rivoluziona una struttura che già era in discontinuità con la tradizione delle università ecclesiastiche, spingendole molto oltre e in un campo che lo stesso Concilio non aveva previsto. Gli autori parlano di spirito del concilio e la perplessità è proprio questa. Dietro questa espressione, mai chiarita nel suo significato, si stravolge la Chiesa fino a renderla irriconoscibile.
Questo rinnovamento necessita un processo di discernimento, di purificazione e di riforma che si realizza in dialogo con la storia e con il presente. Non solamente con la storia, perché condurrebbe a dare risposte a partire da un tradizionalismo avulso dalla realtà. Neppure solo con il presente, perché diventerebbe una riflessione senza radici.
Il dialogo con la storia e con il presente ha lo scopo di sviluppare un nuovo umanesimo, che permetta all’uomo moderno di riconoscersi nella sua vocazione umana e trascendente. Inoltre, questo duplice dialogo offre alla Chiesa la possibilità di affrontare con creatività dinamica e vitale il nostro tempo, riconoscendo, discernendo e rispondendo ai segni dei tempi.
Queste parole risultano a dir poco ambigue e si comprendono soltanto se si tiene conto di che cosa sia l’umanesimo di cui si parla. Questo nuovo umanesimo (che Raimon Panikkar ha chiamato visione cosmoteandrica) lo spiega bene Giuseppe Cognetti , vicepresidente del Cirpit, Centro interculturale dedicato a Raimon Panikkar, membro della direzione della “Cirpit Review” e consigliere dell’Asfer (Associazione per lo Studio del Fenomeno Religioso). Da esperto di discipline orientali, che conduce da molti anni a Siena un Laboratorio di didattica Yoga e Tai Chi Chuan associato al suo insegnamento ed è insegnante dell’Itcca (International Tai Chi Chuan Association), così definisce questo nuovo umanesimo: “dialogo a 360 gradi, oltre ogni riduzionismo e visione parziale e unilaterale della realtà: dialogo interculturale e interreligioso, dialogo con le psicologie del profondo e con le scienze cognitive, salutare immersione nella nostra radice “naturale” e ridimensionamento dei miti storicistici, dialogo con il pensiero femminile, oltre la falsa neutralità del pensiero maschile, dialogo con le grandi tradizioni “esoteriche” occidentali, forme di pensiero interrotte e rimosse all’interno della nostra storia culturale e capaci di restituire agli esseri umani quella libertà creativa e quella gioia di vivere che i miti attualmente dominanti stanno distruggendo”.
La domanda è spontanea: le università ecclesiali dovrebbero quindi formare secondo tali principi sincretistici? E a quale tradizione ed a quale presente quindi ci si riferisce?
Papa Francesco segnala in primo luogo che la riflessione e lo studio realizzati nel contesto ecclesiale non devono dimenticare il punto di partenza e l’obiettivo che si propongono: la ricerca della verità, che è Gesù Cristo, per illuminare il mondo dell’uomo in un momento concreto della storia e in un’area geografica concreta. Quindi, il principio di ogni percorso accademico degli studi ecclesiastici è il Vangelo di Gesù, compreso nella tradizione della Chiesa, annunciato e testimoniato nelle comunità cristiane, in dialogo con le culture, con altre confessioni religiose e con gli uomini e le donne di buona volontà che sono alla ricerca della verità.
Quindi la Chiesa, a detta della civiltà cattolica, predica la Verità, ma ne è alla ricerca al pari delle altre religioni e degli uomini di buona volontà. Si noti che, pur dichiarando di partire dal Vangelo di Gesù, si comprende questo ambiguamente nella tradizione della Chiesa, non definendolo parola di Dio, quindi Verità rivelata; d’altronde come si potrebbe andare alla ricerca della Verità se questa si rivelasse proprio nel Vangelo? Si dovrebbe fare come la Chiesa ha sempre fatto da duemila anni e cioè approfondire sempre di più una Verità di cui non è alla ricerca, ma che possiede ed è chiamata ad annunciare al mondo, non dialogando, ma predicando la conversione a tutti gli uomini. Ma forse è proprio da questa tradizione che gli autori dell’articolo intendono che si debbano purificare gli istituti di formazione ecclesiale.
La VG, inoltre, presenta la formazione alla missione della Chiesa nel contesto di frontiere «rischiose» e nel rapporto tra fede, annuncio e cultura. Un rischio davvero nocivo per le istituzioni ecclesiastiche è quello di rimanere «arroccate». La VG invita a evitare questo rischio, dotandosi di centri specializzati di ricerca che arricchiscano il dialogo con le culture e le religioni. Infatti, «la teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera».
Una teologia delineata e ispirata dai criteri della VG è una teologia biblica e inter-contestuale. Papa Francesco propone una visione del mondo che tenga conto delle tensioni e dei contrasti. Invita a mettere in evidenza i contrasti e le tensioni e a farne oggetto di riflessione e di studio.
In conclusione, la teologia della VG si distingue per l’attitudine al dialogo con le culture, per l’orientamento inter e trans-disciplinare, per le competenze nelle varie discipline del sapere, e per l’apertura e la conoscenza delle altre religioni.
In conclusione nelle università pontifice ed ecclesiastiche in genere ci si ispirerà ad una teologia biblica (sola scriptura), escludendo quindi ogni riferimento aristotelico-tomista ed all’approfondimento delle altre culture e religioni... la domanda è: la formazione che ne uscirà avrà ancora qualcosa di vagamente cattolico?
Gennaro Cangiano
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