Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

martedì 28 maggio 2019

Vedere Dio


di Gennaro Cangiano. 

Come è possibile vedere Dio? È una domanda che ogni uomo che raggiunge la consapevolezza del proprio essere creatura si pone. Come posso vedere il mio creatore, dove posso incontrarlo? Devo attendere che la mia carne muoia per vederlo, quasi che il mio corpo fosse la mia prigione o posso invece vederlo qui ed ora, in questa mia vita terrena? Come posso vedere l’invisibile? 
Sembra una contraddizione in termini voler vedere quello che non può essere visto, eppure il Cristiano, agli uomini di ogni tempo, testimonia quello che “ha visto e udito”; non come notizia di seconda mano, ma come esperienza diretta. Che cosa ho visto ed udito per sostenere di aver incontrato Dio? È difficile tradurre in parole comprensibili l’esperienza che ogni uomo può e deve fare di Dio, dovremmo abbondare con le parole per esprimere un pensiero che comunque resterebbe tale, mentre abbiamo bisogno di un’ esperienza vera, reale e non solo testimoniata; o, meglio, la testimonianza deve rendere possibile un’esperienza di qualcosa di reale, non limitandosi alla narrazione che, di per se, è un racconto; anche se sincera, per chi riceve tale testimonianza, essa è un racconto e non un’esperienza. Il Vangelo però ci viene incontro e ci da molte indicazioni su quale sia la risposta alla domanda che ci poniamo, aiutandoci a scoprire come già molte volte Dio si sia mostrato a noi in tutta la nostra vita, solo che non lo abbiamo riconosciuto. Basta leggere la Parola di Dio con meno sicurezza rispetto a come siamo soliti fare, penetrandola nei suoi significati meno superficiali, lasciandosi penetrare da essi e guardando, finalmente, la nostra vita alla sua luce. Proviamo ad entrare in questo mistero, riflettendo sul fatto che “vedere Dio” è la condizione naturale dei beati, ma Gesù non ha mai detto che tale visione sia possibile solo dopo la morte in stato di grazia;  è proprio quello stato di grazia, che è Dio stesso, che invece è già visione beatifica, pur non perfetta come lo sarà in paradiso... rileggiamo insieme, dal Vangelo secondo S.Matteo, il discorso della montagna:

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.”

Sappiamo che è dato a noi un “consolatore”, lo Spirito Santo che “ci guiderà alla Verità tutta intera”; una persona che è Dio stesso.  Inoltre leggiamo, nel discorso sulle beatitudini: “...beati gli afflitti, perchè saranno consolati”. Ora possiamo sostenere con ragione che quel “saranno consolati” fa espresso riferimento al dono dello Spirito Santo e che la presenza dello Spirito Santo  non è ne scontata ne gratuita, ma condizionata dall’afflizione... solo nell’afflizione c’è possibilità di consolazione. Non è un concetto facile da recepire; praticamente Gesù stesso ci dice che condizione per essere abitati da Dio è essere afflitti e l’afflizione è una forma molto particolare di sofferenza, la più vera, profonda, sincera... 
La domanda però resta, pur arricchendosi di consapevolezza: in che modo nell’afflizione si vede Dio? “Beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio.”
Proviamo ad immaginare una scena: una madre che vede il proprio figlio morire sotto i propri occhi. Il suo cuore si lacera irrimediabilmente; il suo corpo, tutto, ogni organo, ogni cellula geme di dolore. Che cos’è quella sofferenza? È l’amore che prova per quel figlio. Non è il simbolo di quell’amore, ma è quell’amore stesso resosi visibile. L’amore non è visibile se non quando si manifesta come sofferenza e “Deus Caritas est”, Dio è amore. L’amore espresso a parole o anche con gesti di tenerezza, può essere una simulazione, una finzione, ma l’amore che si vede nell’afflizione è incontrovertibilmente vero. 
In questa luce comprendiamo come la croce di Cristo sia realmente Dio che rivela se stesso ed allo stesso tempo comprendiamo quanto la presenza di Dio si riveli in Maria, piena di grazia, ai piedi della croce. Alla domanda iniziale “è possibile vedere Dio?” dobbiamo quindi rispondere: si. 
La sofferenza cristianamente intesa si trasfigura come visibilità di Dio nella carne, rivelando contestualmente agli uomini che questa fisicità materiale non è affatto un impedimento all’elevazione dell’uomo a Dio, ma è l’uomo nella sua integrità, anima e corpo, che si eleva a Dio unendosi a Cristo nella sua sofferenza. È Gesù che dice a chi vuole vedere Dio: “...prendi la tua croce e seguimi”. Il Cristiano è membra del corpo di Cristo, carne ed ossa che, ancora oggi e fino alla fine del tempo, vede nel martirio fisico, morale e persecutorio, per Cristo, con Cristo ed in Cristo, la perfezione di tale unione dell’uomo con Dio. 
I padri della Chiesa, i santi che la Chiesa mostra da sempre come esempio al mondo,  sapevano bene che la via maestra per vedere Dio è l’unione con lui sulla croce. È lì che abbiamo visto nel nostro tempo persone come Padre Pio o anche San Giovanni Paolo II ed è lì che vediamo oggi 300 milioni di cristiani perseguitati nel mondo, inchiodati sulla croce con Cristo in espiazione dei peccati di chi non è afflitto o non lo è veramente, mostrando, a chi ha occhi per vedere, il volto di Dio. La salvezza e la visione beatifica non viene dall’eliminazione della sofferenza, ma dal riconoscere Cristo che prende su di se ora le sofferenze degli uomini; i cristiani e la Chiesa espiano ora, in Cristo, i peccati del mondo per la salvezza degli uomini, in un cammino di santificazione che nell’afflizione, innanzitutto per i propri peccati, vede la consolazione della presenza di Dio. Si badi bene che quando si dice “afflizione per i propri peccati” non si intende niente che abbia a che vedere con i sensi di colpa, ma piuttosto con un dolore sincero, una sofferenza intima che il peccato provoca per il suo essere separazione da Dio... senza afflizione non vi può quindi essere misericordia, perchè questa è Dio stesso e non vi è possibilità di consolazione se non c’è afflizione.

«Ecco, noi siamo tue ossa e tua carne» (2 Sam 5, 1; cf. 1 Cor 12, 27). Così i penitenti devono dire a Cristo: «Abbi pietà di noi, perdona i nostri peccati, perché noi siamo tue ossa e tua carne. Per noi uomini ti sei fatto uomo, per redimerci. […] Ad un angelo non possiamo dire: “Siamo tue ossa e tua carne”. Ma a te, che sei Dio, Figlio di Dio, che non hai assunto gli angeli, ma il seme di Abramo, possiamo dirlo in verità. Abbi dunque misericordia delle tue ossa e della tua carne! E chi mai ha avuto in odio la sua carne (cf. Ef 5, 29)? Tu sei nostro fratello e nostra carne, quindi sei obbligato ad aver pietà e a compatire le miserie dei tuoi fratelli. Tu e noi abbiamo lo stesso Padre: ma tu per natura, noi per grazia. Tu dunque, che nella casa del Padre hai ogni potere, non volerci privare di quella sacra eredità, perché noi siamo tue ossa e tua carne» (sant’Antonio di Padova, Sermone per la Domenica III dopo Pentecoste, I, 4).


Gennaro Cangiano

Nessun commento:

Posta un commento

Post più popolari