Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

martedì 4 febbraio 2020

Come la cerva anela ai corsi d'acqua

«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». (Matteo 22, 36-40)

Questi pochi versetti del Vangelo, giustamente meditati e commentati dagli esegeti e dai teologi di tutti i tempi, esprimono l'essenza ultima della rivelazione divina e, quindi, del cristianesimo. Non è superfluo porsi quindi di fronte ad essi in una contemplazione profonda, meditando su quale sia il significato per noi di tali parole, ma, innanzitutto, su cosa esse significhino in sè stesse. Tale distinzione può sembrare artificiosa... tutto sommato il significato non può che essere uno; ma è proprio questa unicità che, qualora si sbagliasse l'approccio ermeneutico, risulterebbe invece fuorviante.
Se infatti concentro la mia meditazione esclusivamente su cosa tali parole significhino per me, implicitamente ritengo possibile che, per un altro, tale significato possa essere diverso, fino ad una molteplicità di interpretazioni che, inevitabilmente, finiranno per eludere il vero messaggio in esse espresso. L'approccio corretto, quindi, non può che essere la ricerca del significato che Gesù dà a quelle parole, meditando su di esse oggettivamente e rimandando l'interpretazione soggettiva a quando il loro significato sarà realmente chiaro. Mi rendo conto che potrebbe essere infinitamente difficile arrivare ad una definitiva comprensione del mistero della relazione tra uomo e Dio, ma accontentarsi della propria sola capacità interpretativa riduce la Parola di Dio a letteratura, mentre invece è Dio stesso che parla all'uomo.

Purtroppo tale logica ermeneutica che, espressa così come ho fatto, appare scontata per chi si definisce cristiano, in realtà nella pratica è quasi sempre disapplicata.
È possibile individuare almeno due errori interpretativi molto comuni e non solo da parte di semplici fedeli, ma spesso anche da parte di predicatori esperti, fino a stranezze proclamate da pulpiti talvolta molto prestigiosi.
Il primo errore è quello di considerare i due comandamenti espressi da Gesù come uno solo; spesso lo si sintetizza nell'espressione "comandamento dell'amore" che, non a caso, è al singolare.
Eppure, rileggendo i versetti citati, non è difficile comprendere che non è così o, meglio, tale singolarità non è così come la si è voluta comprendere... Cerchiamo di analizzare con calma quanto leggiamo.
Chi interroga il Maestro chiede quale sia il più importante dei comandamenti e Gesù risponde inequivocabilmente: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti." È chiaro?
Tutte le tue emozioni, la tua coscienza e tutti i tuoi pensieri, la tua ragione e tutta la tua scienza saranno indirizzati verso un'unica meta: Dio.
"Come la cerva anela ai corsi d'acqua - recita il salmo 41 - così l'anima mia anela a te, o Dio...
Non c'è alcuno spazio per nient'altro che non sia Dio; eppure Gesù aggiunge: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso..."
Questa è un'integrazione che non aggiunge valore a quanto espresso in precedenza, ma ha come lo scopo di facilitarne la comprensione.
Innanzitutto non possiamo far finta di non vedere come sia espressa una gerarchia non trascurabile; il primo e più importante comandamento è amare Dio sopra ogni cosa e con tutto noi stessi, mentre il secondo è simile al primo, ma non uguale; due cose simili sono, per definizione, distinte. È simile nell'essere sintesi visibile della presenza di Dio tra gli uomini che a Lui dedicano la propria esistenza, ma non è sovrapponibile al primo; anzi impone una distinzione evidente tra Dio e me stesso e, quindi, tra Dio ed il prossimo. Cerco di spiegarmi meglio.
In un elenco ordinato, il primo è tale anche in assenza di altri elementi, mentre il secondo ha senso solo se esiste un primo... È chiaro cosa voglio dire? L'amore per il prossimo, così come quello per se stessi, non è possibile se non in Dio; lo scopo dell'esistenza dell'uomo è amare Dio per mezzo di quello stesso amore con cui Egli ci ama. Sarà questo stesso amore che poi declinerà la nostra esistenza in relazioni che ancora in Dio troveranno il fondamento verace. Badate bene che si tratta di una verità il cui senso è totalizzante; pensare cioè che la dedizione filantropica per il prossimo, foss'anche un genitore, un coniuge, un figlio, i poveri o qualunque categoria bisognosa, sia di per sè espressione della nostra obbedienza a quanto comandato da Gesù, pur in assenza di una dedizione della vita a Lui, è un inganno che facciamo a noi stessi e a quelli che pensiamo di amare.
Il prossimo diviene, in questo caso, un idolo e, come tale, un ostacolo al nostro rapporto con Dio che, è bene comprenderlo fino in fondo, è l'unico scopo della nostra vita.
Il problema vero, in ultima analisi, non sta nel prossimo o nella nostra dedizione alle sue necessità, ma nella nostra considerazione di noi stessi in tale dedizione. È chiaro infatti che, in assenza dell'amore di Dio, attribuiamo alle nostre azioni filantropiche un potere salvifico che non hanno, in un processo in cui abbiamo già sostituito noi stessi a Dio...
E questo è il secondo errore che vedo commettere spesso e che, in molte occasioni, io stesso mi sono ritrovato inconsapevolmente a commettere e cioè cercare Dio in noi stessi prima di averlo riconosciuto come totalmente altro da noi; senza cioè esserci rivestiti dell'umiltà di riconoscere la nostra totale inadeguatezza di fronte a ciò che resta un mistero impenetrabile alle sole forze umane.
Più cerchiamo Dio in noi stessi e più troviamo solo noi stessi, arrivando necessariamente a due sole possibili conclusioni, entrambe errate. La prima ci porta a pensare che Dio coincida con il nostro io e la seconda, simile alla prima, che Dio non esista affatto.
A ben vedere, molte delle distorsioni che vive il cristianesimo moderno partono proprio da tali presupposti ermeneutici errati; anche su quanto comandato da Gesù nel passo evangelico da cui siamo partiti.
Se entrate in una qualunque libreria delle Paoline, ad esempio, troverete in primo piano l'intera bibliografia di Antony de Mello. Questo autore, un gesuita le cui tesi in passato sono state condannate dalla congregazione per la dottrina della fede, allora guidata da Josef Ratzinger, è inspiegabilmente proposto ai giovani sia come guida nel percorso spirituale che come approfondimento della pratica della preghiera. Il fatto è che de Mello propone ed insegna nei suoi testi, scritti, devo riconoscere, in un linguaggio molto accattivante, quella che si definisce come "meditazione trascendentale" e che si risolve nell'introspezione sempre più profonda dentro se stessi alla ricerca di Dio.
Invece che l'estasi (esperienza oltre se stessi) si insegna ai giovani cristiani a ricercare l'entasi (esperienza dentro se stessi). Il percorso che ne deriva è chiaro e parte dal presupposto errato che i due comandamenti citati sopra, che Gesù indica come distinti, siano in realtà lo stesso "comandamento dell'amore"; amare Dio cioè, finisce per significare amare il prossimo come se stessi, per amare il prossimo bisogna quindi amare se stessi, amare se stessi significa amare Dio, quindi io e Dio siamo la stessa cosa... L'uomo cioè, anche indipendentemente dalla Chiesa, è naturalmente Dio e Gesù ci indica solo come scoprire questa verità: questa si chiama "gnosi" ed è l'eresia più antica e pericolosa che la Chiesa abbia dovuto combattere fin dai primissimi secoli dell'era cristiana. (A tale riguardo consiglio la lettura di un documento della Congregazione per la dottrina della Fede del 1989: "LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA SU ALCUNI ASPETTI DELLA MEDITAZIONE CRISTIANA", facilmente reperibile in internet).
Inoltre, tale impostazione, sta anche alla base del concetto di "cristianesimo anonimo" di Karl Ranher (altro gesuita) che prevede che tutti gli uomini siano cristiani anche senza saperlo e che quindi ogni evangelizzazione è non solo inutile, ma controproducente, visto che comunque, anche appartenendo ad altre religioni, si è implicitamente cristiani e quindi già salvi... questo si insegna ormai da decenni nei seminari che preparano al ministero sacerdotale i giovani che poi saranno preti, vescovi, cardinali.
Sempre lo stesso Ranher è quello che sostiene come necessaria la cosiddetta "svolta antropologica" che, in definitiva, si traduce con il superamento di ogni prospettiva teologica, in un umanesimo del tutto immanentista. Esempio di teoria applicata in tal senso sono i gruppi "darsi pace", guidati dal poeta e filosofo Marco Guzzi. Questi auspica l'accelerazione della crisi in atto, salutandola come strumento della cosiddetta "svolta antropologica evolutiva" verso un uomo nuovo. Allo scopo di superare quello che definisce l'uomo "egoico-bellico", introduce nei propri gruppi, che sono dentro la Chiesa cattolica, pratiche di meditazione proprie delle religioni orientali induiste e buddiste che, di fatto, sono già il superamento del cristianesimo, pur volendone mantenere la forma.
Il discorso rischia di farsi molto più lungo di quanto avrebbe dovuto essere nelle mie intenzioni iniziali, vi chiedo però ancora un po' della vostra attenzione nell'approfondire con me un concetto che oggi troppi cristiani sembrano non comprendere: la meditazione di derivazione orientale è l'esatto opposto della preghiera cristiana e il praticarla coinvolge in una visione filosofica e spirituale che diviene un ostacolo al rapporto con Dio, fino a diventare realmente pericolosa.
La parola Yoga, tanto per capirci, in sanscrito ha lo stesso significato di religione ed è quasi impossibile praticarlo senza essere coinvolti dai suoi risvolti filosofici e ideologici.
Quello che il più delle volte è presentato come una ginnastica un po' particolare, in realtà, non è affatto solo questo. Esso è una tecnica psicofisica tesa all'ottenimento di un risultato specifico che è in sè spirituale. Sia l'nduismo che il buddismo (il buddismo nasce come eresia dell'induismo), che usano lo Yoga come pratica meditativa, basano la propria spiritualità su un unico concetto fondamentale: la realtà che percepiamo non esiste; è un illusione della nostra mente. Io stesso non esisto, la persona come ente relazionale non esiste, ma è puro miraggio fenomenologico (Maya), destinata a dissolversi nell'unico tutto indistinto. L'illuminazione che si ricerca è, in ultima analisi, la comprensione della propria inesistenza. La pratica meditativa di cui lo Yoga è la schematizzazione tecnica, ha come scopo ultimo l'annullamento (nirvana) del proprio io, per tornare nell'indistinzione del tutto; in pratica l'auto annichilimento. Non a caso il presupposto di ogni pratica meditativa Yoga è il vuoto mentale, l'assenza di pensiero. Questa impostazione porta da un lato l'induismo alla divinizzazione di ogni cosa, in migliaia di divinità che non sono altro che fenomenologia dell'unico tutto (si calcolano letteralmente centinaia di migliaia di dei), dall'altro invece porta il buddismo alla negazione dell'esistenza stessa di una divinità propriamente detta; se tutto è Dio, allora niente è Dio. Entrambe le visioni, come è facile comprendere, sono incompatibili con il cristianesimo, che invece riconosce nella stessa divinità le personalità relazionali; la persona umana, individualità personale unica e distinta, è chiamata come tale alla relazione con Dio. La preghiera cristiana è questa relazione che in Cristo vede il suo unico compimento possibile e che, nell'essere vero Dio e vero uomo di Gesù, rivela la conoscibilità oggettiva di Dio da parte dell'uomo, nel processo estatico della santificazione.
In conclusione... Posso amare veramente solo ciò che è reale. Come donazione totale di sè, l'amore determina che l'amato e l'amante siano persone distinte, che si lasciano definire ed unire da esso, in un unione che non annulla le singole personalità, ma le esalta. Per questo il primo e più grande dei comandamenti è amare Dio con tutto se stessi; soltanto amando Dio lo riconosco come altro da me, soltanto riconoscendolo come altro da me posso ricevere il suo amore e solo con il suo amore potrò riconoscere ed amare il mio prossimo, amando in esso me stesso come Dio mi ama.

„Come da una fonte limpidissima non sgorgano che limpidi ruscelli, così di un'anima in grazia: le sue opere riescono assai grate agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedenti da quella fonte di vita nella quale essa è piantata come un albero, e fuor dalla quale non avrebbe né freschezza né fecondità.“ (Santa Teresa d'Avila, da "Il castello interiore")

Gennaro Cangiano (M.I.)

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