di mons. Mariano Magrassi.
Parlare di una persona che si ama è sempre una grande gioia: è come dare la stura ai sentimenti che urgono dentro e riempiono il cuore. Non ho da parlare di un tema teologico, ma di una persona il cui fascino fin da ragazzo mi ha afferrato, e che, al mio ingresso in monastero, mi ha riservato una gradita sorpresa, facendomi dono del suo nome. Di essere “Mariano” sono felice!... Ma una relazione non ha il genere letterario delle “confessioni”. Dovrò cercare di farmi” voce della Chiesa “, perché solo lei, la Chiesa, nella sua secolare instancabile amante contemplazione, è in grado di capire Maria. Ognuno di noi, da solo, è troppo piccolo davanti a un soggetto così grande.
Il tema Maria-Chiesa va visto in questa sede con taglio nettamente liturgico: si tratta cioè di vedere come è vissuto nella liturgia. Ne ho percorso tutti i testi e ho fatto anzitutto questa constatazione: la liturgia rinnovata non riserva novità tematiche, non apre vie nuove; è solo lo specchio fedele della affettuosa meditazione di tutte le generazioni cristiane. Con due note caratteristiche, a mio avviso: un equilibrio pieno di discrezione, anche quando i testi fremono di ammirazione contenuta davanti al “frutto più bello della Redenzione “ (SC 103), e un tocco “ sapienziale “ per cui ciò che altrove è oggetto di indagine, qui è gustato con infinito stupore.
I. Maria e la Chiesa: una cosa sola
Andando ai contenuti, la prima cosa che balza agli occhi è questa: guardando Maria la Chiesa avverte di essere con lei una cosa sola, vede come in uno specchio la sua immagine ideale; vede il suo “dover essere” da cui la realtà è ancora lontana e si sente spinta ad accelerare il passo nel cammino verso Cristo.
La liturgia questo lo esprime scegliendo letture chiaramente ecclesiologiche: come quelle della donna che deve partorire (Ap 12) o della nuova Gerusalemme che scende dal cielo pronta come una sposa per le nozze (Ap 21) (1). In quelle immagini la Chiesa sa di essere adombrata essa stessa; eppure - anzi, proprio per questo - sa che Maria vi è implicata in primo piano. Lei è “già” quella sposa pronta per le nozze dell’Agnello, che la Chiesa si sforza faticosamente di diventare. Proprio perché lì è adombrato il volto di una donna concreta, Maria, è più facile leggervi il volto di un’altra sposa che non è persona singola, ma la “multitudo credentium”. Nelle orazioni c’e la stessa logica spirituale: è contemplando Maria Immacolata che la Chiesa sente sorgere in sé il desiderio di essere “ libera da ogni colpa. (2)
E’ quello che l’esegesi ha fatto da molto tempo. S. Bonaventura riassume una tradizione classica, quando vede i sensi della Scrittura culminare in Maria. Nel cogliere lo spessore del testo biblico, Padri e autori medievali privilegiano tre sensi: quello “allegorico “ che si riferisce alla Chiesa, quello “ tropologico” che concerne ogni singola ,anima, quello “anagogico “ che trasporta nei cieli. Ora questi tre sensi trovano una convergenza superiore in Maria, la meraviglia suprema: lei che è ad un tempo “porzione ottima della Chiesa l’anima più bella, e la primizia del cielo (3). Così, in un’unica Messa che proclama il Vangelo della Visitazione, Maria è presentata come la sposa del Cantico (Cant 2, 8-14) e come la figlia di Sion (Sof 3, 14-18) (4), e si sente che non c’è alcuna forzatura nell’applicazione.
Il Cantico dei Cantici è poi il terreno privilegiato di questa interpretazione mariana: e siamo un po’ sorpresi di vederlo poco utilizzato nel nuovo lezionario mariano. I primi commenti dei Padri, com’è naturale, ne colgono il carattere ecclesiale: avendo la Chiesa presò il posto d’Israele, il libro canta l’unzione nuziale del Cristo con la sua Chiesa. Ma una delle più profonde convinzioni della tradizione è che ciò che si verifica per la Chiesa in generale, si verifica per il cristiano in particolare. “Ogni anima - dice S. Pier Damiani - è in qualche modo la Chiesa nella sua pienezza” (5 ).
Così il Cantico descrive l’avventura dell’anima alla ricerca dello Sposo. E poiché Maria è ”la più nobile di tutte le anime che compongono la Chiesa”, ed è la sposa diletta come nessun altro, è di lei anzitutto che parla il Cantico. Il principale iniziatore di questa interpretazione è un autore del secolo XII, che conosco bene per averlo lungamente studiato: Ruperto di Deutz (6). Egli afferma che nell’anima singolare prediletta di Maria si trova, come radunato tutto il grande ed esteso corpo della Chiesa, la “credentium collectio universa” (7) E’ lei perciò, più di ogni altro essere umano, la Sposa unica e diletta.
Maria, la Chiesa e l’anima sono dunque un triplice e unico tema, meglio ancora sono realtà concentriche incluse l’una nell’altra. Non si tratta di una semplice analogia di funzioni, ma di un rapporto intimo, che fa di Maria e della Chiesa un solo e unico mistero. E’ quello che ha spinto i Padri conciliari a parlare della Madonna nel contesto della Lumen Gentium. Questa scelta si è posta nel solco della più classica Tradizione che risale ai Padri del IV secolo, come Ambrogio e Agostino. C’è uno scambio di attribuzioni tra la Chiesa e Maria. In gergo tecnico si direbbe che c’è una “ communicano idiomatum “. La stessa cascata di immagini è applicata dai Padri all’una e all’altra: nuova Eva , Arca dell’Alleanza, porta e scala del cielo tabernacolo dell’Altissimo, Città di Dio…(8). Così molti dei simboli applicati alla chiesa entrano poi a formare le litanie di Maria: quelle lauretane sono solo un esempio giunto fino alla pietà dei nostri giorni.
Ecco un esempio tipico di tale scambio di attribuzioni in questa strofa di un inno di S. Efrem:
Beata sei tu, Chiesa,
perché da te parte il grido profetico di Isaia:
“Guarda: la Vergine concepirà e partorirà un Figlio”.
Oh, mistero della Chiesa che si svela! (9)
A questo punto si pone inevitabile una domanda: è la Chiesa che appartiene a Maria, o Maria che appartiene alla Chiesa? Se si tratta di cerchi concentrici, qualè il cerchio più grande? La Lumen Gentium ci orienta a pensare che Maria è nella Chiesa. Il cap. VIII reca il titolo: “La Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa” Ma proprio nel contesto conciliare Paolo VI ha proclamato Maria” Madre della Chiesa”. E la liturgia ha fatto proprio questo titolo: una orazione del 1^ gennaio afferma che la veneriamo “Madre di Cristo e Madre della Chiesa”: madre del Capo cioè e, di conseguenza, madre delle membra. Quello che faceva esclamare il cuore vibrante di Piero Damiani: “Madre grande e beata nel cui seno si formò la carne di Cristo, e da cui nuovamente, con l’acqua e il sangue, oggi emana la Chiesa” (10).
Dunque la Chiesa appartiene a Maria, perché è lei che la genera. In apparenza ne nasce una certa ambiguità, che qualche voce al Concilio non mancò di segnalare, ma è solo apparente. L’appartenenza è mutua, e si accentua l’una o l’altra a seconda della prospettiva in cui ci si pone. La formula più felice mi pare che l’abbia trovata un medievale, Berenguado (sec. IX), che afferma: “Maria è Madre della Chiesa perché ha generato Colui che della Chiesa è il Capo, ed è figlia della Chiesa, perché della Chiesa è il membro più eminente” (11). Certo Maria va collocata nel mistero della Chiesa di cui è membro: ma al suo interno essa occupa un posto così eminente ed unico [“singulariter eminet in corpore”, dice un altro medievale, Elinando (12)] che “ si può dire altrettanto bene, e forse con maggior ragione ancora, che la Chiesa le appartiene” (13).Lei è stata “la Chiesa prima della Chiesa” – come vedremo subito – ed è già quel termine ideale verso il quale la Chiesa è ancora in cammino. Il suo seno – diceva il grande Gregorio(14) – è il letto nuziale in cui Cristo celebra le nozze con la Chiesa Sua sposa.
Con quanto realismo e con quale dimensione apostolica Maria abbia vissuto questa sua funzione di maternità spirituale nel mistero della Chiesa-Madre, lo dice un bel paragrafo della Marialis cultus: “Non apparirà Maria come una Madre gelosamente ripiegata nel proprio figlio divino, ma donna che con la sua azione favorì la fede della comunità apostolica in Cristo (cfr. Gv 2,1-12 e la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali (n. 37). La nota cita l’orazione sulle offerte del 15 settembre, dove si parla di lei “data a noi come madre dolcissima, presso la Croce di Cristo. Certo Maria non ha nella Chiesa funzioni ministeriali, come Pietro o Giacomo; non percorre il mondo per evangelizzare come Paolo. Nella Chiesa lei è la Madre spirituale che veglia, prega, serve: e soprattutto ama con cuore materno. Dà alla realtà della Chiesa-Madre una configurazione concreta. Per capire il mistero della Chiesa, bisogna guardare a lei. Se il nostro è il tempo in cui “la Chiesa si risveglia nelle anime “, come già Romano Guardini scriveva nel 1922, lo sarà solo nella misura in cui si risveglia nelle anime l’amore alla Madonna.
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