La peculiarità dell'essere umano in quanto tale, cercando di depurare la cognizione di esso dai troppi fraintendimenti che ne impediscono la comprensione, è il pensiero autocosciente. Riuscire cioè a riflettere su se stessi l'azione di pensare, come atto in sé slegato da ogni relazione con l'altro da sé. Sembrano concetti difficili, ma in realtà non vi è nulla di più comprensibile: Io penso di pensare… tutto qui.
La domanda che mi pongo e che da sempre gli uomini di ogni tempo si sono posti, dandone le risposte più disparate, è: di cosa è fatto il pensiero?
Il mio pensiero sono io stesso o esso è una mia facoltà non riconducibile alla mia essenza? Esiste ancora l'uomo in assenza di pensiero?
La risposta a tale quesito sembra essere logica: anche in assenza di pensiero l'uomo resta uomo; un ammalato in coma continua ad essere indubbiamente un uomo, pur con un elettroencefalogramma piatto.
Eppure però non è come la cecità, in cui la perdita della vista comporta sicuramente la perdita di una facoltà importante, ma che intacca solo relativamente l'essere umano come tale; la perdita del pensiero e come se fosse la perdita di qualcosa che da senso al resto. In assenza di pensiero la vista, l'udito o qualunque altra facoltà risulta pressoché inutile. Non è sbagliato dunque considerare il pensiero come fondante dell'essere umano in quanto tale; ma la domanda resta: di cosa è fatto il pensiero? Esso non è riducibile alla pura biologia, pur non essendo ad essa completamente estraneo. Le malattie neurodegenerative sono lì a dimostrare che un nesso esiste tra fisiologia e capacità di un individuo di pensare, ma nonostante questo il pensiero trascende la biologia, mettendo l'uomo in relazione con l'infinito. Il pensiero contiene in sé potenzialmente tutto l'essere e questo è senza dubbio un aspetto che lo rende non riconducibile a niente di finito, a niente di puramente materiale. Il pensiero è puro spirito, irriducibilmente altro dalla semplice materia a cui invece dà forma, plasma, dà un senso. La materia sottoposta all'azione del pensiero è come creta che diviene vaso nelle mani dell'artigiano; nessuno direbbe che la creta e l'artigiano coincidono in essenza e così anche tra materia e pensiero c'è una differenza ontologica che non è possibile ignorare. Riflettiamo un attimo: che cosa in natura ha la capacità di trasformare la materia? La fisica ci indica la risposta partendo da lontano e sicuramente pone l'energia come forza trasformatrice ed originaria. La teoria della relatività si spinge nel delineare l'energia come l'essenza stessa della materia, evidenziando come l'una e l'altra siano in una strettissima relazione. Tuttavia dobbiamo notare anche che tale relazione non è diretta, ma è mediata e condizionata da una costante immutabile: la luce. Inoltre la stessa fisica ci dice che da questa costante dipende anche un'altro aspetto della realtà che viviamo e cioè il tempo. La trasformazione dell'energia in materia o viceversa, ha senso soltanto se avviene nel tempo e questo dipende totalmente dalla relazione tra il fenomeno e la costante immutabile della velocità della luce. La percezione che abbiamo del tempo e dello spazio cioè dipende totalmente da quanto noi stessi ci muoviamo in relazione a quella stessa costante e noi ci muoviamo sempre. Anche quando siamo addormentati nel nostro letto, il nostro corpo si muove con la terra intorno al sole, che ruota attorno al centro della galassia, che a sua volta viaggia velocissima. La nostra percezione del tempo e dello spazio dipendono da questo eterno movimento e dalla relazione tra esso e la costante della velocità della luce… in assenza di moto la realtà che percepiamo non può esistere, risolvendosi totalmente nell'unica costante immutabile: la luce. Il moto della luce è l'unico che non dipende da altro che da sé stesso, anche se dobbiamo riconoscere che anche la realtà ultima della luce è comunque una realtà in movimento… E' evidente che nulla di ciò che esiste quindi può esimersi dal moto.
E' interessante notare, a questo punto, come la speculazione teologica e filosofica antica giungano esattamente alle stesse conclusioni. Aristotele o Tommaso d'Aquino, nei loro scritti, indicano chiaramente nel moto la chiave fondamentale per la comprensione della realtà e di come questo riporti alla necessità di un motore originario immobile, quello che nel testo della genesi è descritto come immediatamente antecedente all'atto primigenio di Dio, immediatamente precedente al fiat lux.
Da tener conto anche, in questa ardita analisi, che Dio non può distinguersi dal suo atto; il fiat lux si delinea quindi come donazione totale di Dio in un atto che è la creazione stessa, come nota iniziale di una sinfonia maestosamente armonica e che racchiude in sé la tonalità dell'esistenza. La luce in buona sostanza è l'atto divino che si perpetua generando lo spazio, il tempo, la materia e, in definitiva, il pensiero; strumento principe grazie al quale il creato ritorna a quella stessa luce. La particolarità umana in questo si delinea in tutta la sua peculiarità, definendosi come vertice della creazione a immagine e somiglianza di quella stessa autocoscienza generatrice ed eterna, con cui, declinandosi nel tempo, si identifica, fino all'evento cristiano, come fine ultimo e principio fondante dell'essere.
Lo studio della fisica si fa ancora più illuminante nella sua evoluzione quantistica… l'inesistenza formale dello spazio e del tempo, quando si indaga la struttura fondamentale della materia, testimonia la formale inesistenza di essi al di fuori di una percezione macroscopica mediata dalla luce, evidenziando una dicotomia tra la percezione spazio temporale e la realtà dell'essere nella sua essenza. Oltre la luce vi è solo una percezione strumentale e non vi è percezione dello spazio e del tempo se non mediata dalla stessa luce. Vale la pena quindi soffermarsi seriamente sulla natura del fenomeno elettromagnetico che chiamiamo luce, cercando però di guardare ad esso non soltanto come fenomeno fisico osservabile, ma come unica vera realtà, grazie alla quale l'esistenza si manifesta così come la conosciamo. Riflettiamo insieme su cosa sia la luce…
Essa è, come già detto, la costante universale per eccellenza; unica vera entità fisica uguale a se stessa ovunque nell'universo e da cui tutte le altre costanti che conosciamo prendono senso. Grazie ad essa percepiamo quello che ci circonda visivamente o, meglio, l'unica cosa che vediamo è la luce riflessa dagli oggetti che ne sono colpiti e che ci giunge nella parte residuale che quegli stessi oggetti non hanno assorbito… paradossalmente un corpo che assorbe totalmente la luce che lo investe risulta completamente invisibile, come nel caso dei buchi neri, mentre un corpo che riflette la totalità della luce da cui è colpito appare luminosissimo. Essa è insieme forza elettrica e magnetica, capace di interagire con la struttura profonda della materia eccitandola, innescando processi di trasformazione altrimenti impossibili.
Sembra non avere massa, almeno questa è la conclusione a cui la maggioranza degli studiosi è giunta, ma nasconde in sé la possibilità unica di determinare cambiamenti di massa nella materia, immettendo in essa energia. Rende possibile l'osservazione nello spazio, ma anche nel tempo; osservare una stella significa infatti vedere come essa era nel tempo passato; la vita stessa dipende totalmente da essa… potrei continuare ancora per molto tempo ad elencare le particolarità uniche della luce, ma trasformerei questo mio scritto in un trattato di fisica, mentre il mio intento è un altro. Il mio scopo è indagare come la luce, così come i fisici la descrivono, ricalchi quasi letteralmente l'azione creatrice di Dio così come ci è descritta dalle tradizioni più antiche; in primis dalla narrazione biblica. La creazione si dipana come declinazione successiva del fiat lux primigenio, e quella luce ha una fisionomia definita. Essa è l'atto supremo ed eterno volto all'accoglienza dell'Incarnazione di Cristo, in Lui e per Lui la realtà prende forma.
Quella luce non è Cristo, ma grazie ad essa però egli diviene visibile. Una luce immacolata come all'atto della creazione ci dona la coscienza di Dio, la visibilità della sua presenza. In quel fulgore siamo immersi, di quel fulgore siamo fatti come tempio dello Spirito. Un vestito di sole appare alle nostre coscienze illuminando la presenza di Dio, il suo avvento. I ciechi vedono… quella luce ha un nome regale e umile allo stesso tempo, inizio e vertice massimo della creazione, matrice a cui il creato intero è chiamato a conformarsi pur non essendone l'artefice… quel nome è Maria.
Gennaro Cangiano (M. I.)
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