Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

sabato 11 gennaio 2020

Ecce ancilla domini

Don Dolindo Ruotolo, un sacerdote napoletano che ha lasciato, oltre ad una indiscutibile fama di santità, una sterminata serie di scritti di natura teologica e spirituale, scriveva nel suo commento al Vangelo di San Matteo questa frase: "non si conosce la grandezza di Maria fino a quando in noi non è nato il Cristo".
È un espressione che mi ha molto colpito, per quello che significa in sè, ma anche per una serie di motivi che vanno ad alimentare un pensiero che da molto tempo anima la mia ricerca teologica e spirituale. In particolare ha contribuito a stimolare alcune delle riflessioni che provo qui a sintetizzare e a condividere.
Il primo aspetto che voglio sottolineare e che sicuramente non è una novità nel pensiero cristiano, è l'inscindibilità del mistero di Gesù Cristo da quello di Maria immacolata. L'incarnazione della seconda persona della Santissima Trinità avviene cioè, per volontà stessa di Dio, come azione dello Spirito Santo, ma anche come atto, pur passivo, di Maria.
La Vergine infatti avrebbe potuto rispondere di no a quanto annunciatole dall'angelo, mentre invece si rende protagonista di un atto di affidamento totale a Dio che si rivela essere lo scopo della creazione stessa, che si incarna in Maria come Dio si incarna in Gesù. Questo aspetto pone la Santa Vergine in una posizione completamente unica nella storia dell'uomo. Nel "fiat" di Maria, che dà inizio alla redenzione così come la conosciamo, riecheggia il "Fiat" che dà il via alla stessa creazione; nel Fiat primigenio è Dio che dà esistenza al creato, in quello di Maria è il creato che rende a Dio quella stessa esistenza: ecce ancilla domini... Questo avviene, si badi bene, nel vero senso della parola; la carne e il sangue di Cristo "sono" la carne e il sangue di Maria. Specularmente si comprende come Maria, in Cristo, sia totalmente assimilata alla Santissima Trinità.
Probabilmente, leggendo queste mie parole, mi si potrà imputare una sopravvalutazione del ruolo della Vergine, una sorta di sua deificazione, quasi una quarta persona oltre alla Trinità... Un protestante mi accuserebbe di mariolatria, ma non è di questo che si tratta. Piuttosto si tratta di comprendere che quello che ho appena detto di Maria è quello a cui è chiamato ogni cristiano. L'immacolata concezione fa sì che in Lei si compia perfettamente quello che a noi è precluso dalla presenza del peccato, originale e personale; il peccato però non potrà mai negare che l'essenza stessa del cristianesimo sia che "Dio si fa uomo perchè l'uomo divenga Dio". La difficoltà nel comprendere tale realtà risiede proprio nella visione errata che si ha oggi del peccato e di perchè esso sia un ostacolo insormontabile, senza l'azione della Grazia, che impedisce la comprensione della rivelazione e, quindi, la salvezza. La concezione moderna dell'uomo e delle sue aberrazioni, interamente declinata su un'impostazione psicologica, risulta infatti capovolta rispetto a quella che invece è necessaria a quella stessa comprensione. Cerco di spiegarmi meglio.
La psicologia ha sostanzialmente due vizi di impostazione che compromettono inevitabilmente la sua reale capacità di spiegazione dell'uomo all'uomo. Il primo vizio è la considerazione della psiche (dal greco psiche significa anima) come qualcosa di riducibile alla mente, ai suoi meccanismi, eliminando completamente dalla considerazione quello che è puramente spirituale, ritenendolo sempre e comunque riconducibile a meccanismi mentali e, in definitiva, materiali. Non a caso lo stesso Freud considerava la religione, specialmente quella cristiana, come fonte di nevrosi e anche pensatori che invece prendevano in considerazione aspetti più spirituali, come Jung, riducevano comunque tali aspetti a fenomeni di interconnessione tra uomini, dove la trascendenza di Dio non trova di fatto posto, se non in una visione panteistica e, in definitiva, comunque materialistica. Pur con mille sfaccettature evolutive diverse, il pensiero psicologico si è sviluppato a partire da questi presupposti e, volendo tenere conto di quegli studiosi che hanno inteso declinarlo in chiave cristiana, è necessario riconoscere che il risultato di questo sforzo è stato lo smarrimento della comprensione della rivelazione come Parola di Dio, sostituita da una visione psicologica dei personaggi in essa narrati.
Il secondo vizio di impostazione della psicologia è considerare la sofferenza nevrotica, la depressione, l'ossessione e, in genere, ogni difficoltà relazionale come quasi esclusivo frutto di traumi subiti dall'individuo. Tale impostazione ha inevitabilmente portato alla svalutazione di quello che invece l'individuo non ha subito, ma ha agito; gli errori commessi in maniera volontaria, le cattiverie volutamente inflitte ad altri, in definitiva il peccato commesso, è ignorato come fatto in sè, se non per ricondurlo a conseguenza di un trauma, per concentrarsi quasi esclusivamente su quello che l'individuo ha subito.
Quello che però dobbiamo riuscire a comprendere è che ciò che definisce l'uomo sono le sue azioni e non quelle degli altri. Un contadino è definito dal suo lavorare la terra, un fabbro dal suo lavorare il ferro. Il continuo tentativo di elaborare la sofferenza subita ci impedisce di vedere quella che noi stessi infliggiamo e che, in ultima analisi, ci definisce. Non voglio qui negare che esista una patologia mentale, ma essa interessa la psichiatria o la neurologia, mentre la psicologia pretende di essere cura per l'anima; una pretesa che si risolve nello smarrimento della comprensione stessa dello spirito umano.
L'atto è ciò che ci definisce ed è per questo che il peccato, che è atto contro Dio, è impedimento reale ad ogni comprensione della realtà divina. La negazione dell'esistenza del peccato è, in ultima analisi, la negazione dell'esistenza di Dio e la psicologia moderna non è altro che questo; l'averla posta come verità scientifica, pur non avendone in realtà nessuna caratteristica, ha portato l'uomo contemporaneo a non sapere più che cosa sia il peccato e, quindi, a non riuscire più a comprendere la realtà di Dio. Solo l'azione della Grazia può tirare l'uomo fuori dal pantano materialista in cui è rimasto invischiato ed è  Maria la "piena di Grazia".
Questa riflessione mi introduce direttamente al secondo aspetto che intendevo sottolineare e cioè che il modello a cui il cristiano è chiamato a guardare, per comprendere e realizzare lo scopo della propria esistenza, è proprio la Vergine Maria. La conformazione dell'uomo a Cristo, cioè, non può avvenire se non per una strada, tracciata da Dio stesso, che si racchiude tutta nelle parole che la Vergine pronuncia al momento dell'annunciazione: "eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me la Tua parola". Ogni conversione, ogni vocazione, ogni santificazione non può non passare per queste semplici parole, che sono poste, giustamente, all'inizio dell'evento cristiano, come paradigma su cui sviluppare l'intera nostra esistenza; come fondamenta su cui edificare la vita in Cristo.
Come si può facilmente dedurre da questo mio ragionamento è impossibile distinguere a cosa il cristiano debba veramente conformarsi, se a Gesù o a Maria... Non ho timore di sostenere che semplicemente questa distinzione è solo apparente. È come se dovessi raggiungere un punto preciso su una strada che va da destra a sinistra; che io provenga da destra o che provenga da sinistra, non solo il punto lo incontrerei comunque, ma la strada continuerebbe ad essere una sola. È più chiara ora, forse, l'intuizione di don Dolindo da cui sono partito: "non conosciamo la grandezza di Maria fino a quando in noi non è nato il Cristo". Potremmo addirittura ora poter dire che è valida anche l'espressione speculare e cioè: "non nasce in noi il Cristo fino a quando non conosciamo la grandezza di Maria".
Qualche precisazione ulteriore, a questo punto, potrebbe essere però necessaria. Deve essere chiaro cioè che, in questa mia riflessione, la creatura ed il creatore restano sempre, pur se in comunione, distinti; anche quando quella che ho indicato come "conformazione" risulta perfetta. La creatura cioè non perde mai la propria individualità personale, come in una sorta di annullamento, ma anzi questa personalità in Dio è esaltata, esattamente come avviene per Maria e come avviene per tutti i santi che la Chiesa ci indica come modello; di questi invito ad approfondire l'infinità di voci diverse che vanno ad edificare la sinfonia armonica che è il corpo mistico di Cristo nella comunione dei santi e, di tutti,  invito a notare che non ne esiste letteralmente nessuno, in ogni epoca e luogo, che non abbia nutrito un amore viscerale, incondizionato, per la Vergine Maria e che non si sia ritrovato a pronunciare a Dio le sue stesse parole.
Al di là di ogni speculazione filosofica e teologica, di ogni pratica religiosa, c'è quindi un atto preciso che l'uomo deve essere disposto a fare, in mancanza del quale anche il suo definirsi cristiano è un'illusione puramente ideologica e cioè pronunciare con Maria le sue stesse parole: "eccomi, sono il servo del Signore, si compia in me la Tua parola".

Gennaro Cangiano (M.I.)

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