Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente

domenica 19 gennaio 2020

Il ricamo

Alla domanda precisa di un suo figlio spirituale, che gli chiedeva il perché di tanta difficoltà nel comprendere il disegno di Dio, padre Pio rispose raccontandogli un aneddoto di quando era bambino. Quando era piccolo, raccontava il grande santo, soleva giocare ai piedi della madre mentre questa ricamava. Ogni volta che, per qualunque motivo, alzava gli occhi e guardava il ricamo a cui la madre lavorava, rimaneva stupito del fatto che la donna riponesse tanta cura e tanta attenzione ad un ricamo che, oggettivamente, stava venendo malissimo. I fili intrecciati in modo confuso, i colori mescolati senza un senso, un disegno incomprensibile... Eppure sua madre vi lavorava ore e ore con una cura meticolosa.

Il santo raccontava di quanto fosse incomprensibile quello che vedeva e di come non osasse esprimere questi suoi pensieri ad alta voce... Fino al giorno in cui prese coraggio e chiese alla madre a cosa stesse lavorando. La madre allora, sorridendo, lo invitò ad alzarsi e a guardare il ricamo dall'alto, dal suo punto di vista; fino a quel momento infatti il nostro santo aveva guardato il ricamo al rovescio, potendolo solo osservare dal basso, ma ora, che lo vedeva dalla stessa prospettiva della madre, il disegno si mostrava in tutta la sua perfezione, ogni filo al suo posto, i colori perfettamente armonizzati...
Allo stesso modo, diceva San Pio al suo figlio spirituale, noi vediamo il disegno di Dio solo dal nostro punto di vista e non lo comprendiamo; l'unico modo per comprenderlo è guardarlo dalla sua prospettiva, con i suoi occhi.
Questo episodio, oltre a testimoniare la grande sapienza del santo del Gargano, ci invita a guardare agli eventi della nostra vita, a quelli del mondo e della Chiesa, sforzandoci di non limitarci alle apparenze, che giudichiamo dal nostro punto di vista, ma permettendo a Dio di elevarci fino al suo. È un esercizio nient'affatto facile; richiede una notevole dose di umiltà mettere in discussione quello che ai nostri occhi appare come lampante e certo, affidandoci invece a Dio ed alla sua volontà, senza nessuna certezza di arrivare alla comprensione reale delle cose mentre camminiamo ancora su questa terra.
Possiamo, certamente, osservare criticamente le cose, essendo la ragione stessa un dono di Dio, ma usare questa ragione in maniera del tutto indipendente da Dio, come siamo soliti fare o, addirittura, contro di esso, può portare drammaticamente fuori strada, condannando noi stessi a non comprendere mai quel disegno.
È il caso, a mio modesto parere, della nostra capacità di leggere gli eventi che caratterizzano la Chiesa di questi nostri tempi; guardata infatti con occhi puramente umani, la situazione della Chiesa appare come il ricamo della madre di San Pio al rovescio... Completamente incomprensibile.
Assistiamo infatti ad un dibattito acceso in cui, insieme ad un brusio di fondo insopportabile dato dai media laicisti, si identificano essenzialmente due fazioni contrapposte.
La prima, inoppugnabilmente definibile come progressista (modernista direbbero i detrattori), si pone in palese contrapposizione con la tradizione della Chiesa, traendo ogni riferimento teologico esclusivamente nelle aperture presenti nei documenti del Concilio Vaticano II, o in quello che si predica che esso sia, e, ancor di più, nella deriva postconciliare; i predicatori  ecosostenibi sproloquiano ormai senza freno e in maniera sempre più spinta, fino ad auspicare il sovvertimento del magistero in materia di morale e prassi ecclesiale; tra un po' ci diranno che segno di salvezza è fare la raccolta differenziata, anche se si è musulmani o adoratori della madre terra. Tutto sembra essere divenuto sovvertibile, in una visione teologica che rivaluta ogni eresia del passato, elevandola a verità possibile, fino a Lutero proposto nella Chiesa come se fosse un santo o a divinità pagane come pachamama celebrate nelle basiliche romane.
Dall'altro lato la fazione contrapposta si spinge fino a posizioni ugualmente estreme, ritenendo l'attuale gerarchia completamente manovrata da gruppi esotericamente orientati alla distruzione del cattolicesimo. Accanto alle posizioni lefevriane che, più che nel concilio, trovano in realtà la loro genesi nella riforma liturgica di San Paolo VI (su questo mi soffermerò più avanti), moltissimi gruppi e gruppetti sorgono inferociti, gridando all'apostasia, al tradimento e predicando un sedevacantismo settario e scismatico in difesa di quella che si ritiene essere la vera ortodossia cattolica. La presenza di addirittura due papi di certo non aiuta, lasciando spazio a chi predica che il papa sia l'uno, ma anche a chi ritiene che il legittimo papa sia l'altro... Le posizioni inoltre si declinano ancora a loro volta in miriadi di sfaccettature che ne moltiplicano la rumorosità, fino ai pensieri dei singoli, puramente soggettivi, spacciati sui social per verità teologica inoppugnabile e che, a ben guardare, di realmente vero e di realmente teologico non hanno nulla.
Praticamente la confusione regna sovrana... Sembra.
Dico "sembra" perchè in realtà, quello che ho appena descritto, è appunto il "ricamo" visto al rovescio; ricordate l'aneddoto di padre Pio da cui siamo partiti?
Senza pretendere di conoscere il disegno di Dio, che è noto nella sua totalità a Lui solo, possiamo forse cercare di intuire quale possa essere il dritto del ricamo o, almeno, cercare di intravedere le sue linee guida che, grazie alla Rivelazione ed all'azione dello Spirito Santo, non sono affatto avvolte dalle tenebre, ma, anzi, sono luminosamente visibili, per chi ha occhi per vedere, in Cristo e nel Vangelo.
Niente di nuovo insomma sotto il sole...
A ben vedere entrambe le posizioni che ho sopra illustrato sono infatti viziate dallo stesso antico errore di fondo, che, inevitabilmente, lascia scorgere la condizione di chi lo commette: la mancanza di Fede... Mi spiego.
La prima, quella per così dire modernista, tratta della materia ecclesiale come se questa fosse una "proprietà degli uomini di Chiesa e dei teologi", come se cambiare la disciplina di un sacramento o la comprensione di un dogma, comporti la stessa valenza che per un partito politico cambiare il proprio statuto per adeguarlo ai tempi; il fatto, che sembrano aver dimenticato, è che la Chiesa non è un partito politico.
La convinzione di dover aprire gli orizzonti della Chiesa al mondo, alle sue filosofie e alle sue deviazioni, fino alle sue religioni, quello che chiamano insomma la Chiesa in uscita, si comprende solo se si riconosce che chi la predica pensa realmente di avere qualcosa da aggiungere alla rivelazione che, quindi, non ritiene più divina. La Chiesa, nella loro impostazione, deve rendersi accettabile perchè loro per primi hanno smesso di accettarne il mistero; non pensano più che la sua natura sia soprannaturale, ma che tutto si risolva nell'attività degli uomini che la compongono... Una vera tristezza.
È così che si comprende la nuova predicazione in materia di matrimonio o di ammissione all'Eucarestia dei divorziati risposati, contraria a quello che lo stesso Gesù dice nel Vangelo in maniera esplicita; così come la considerazione della pratica omosessuale, accettata di fatto da questi uomini di Chiesa politicamente corretti, ma condannata esplicitamente dalle sacre scritture... Insomma sono talmente misericordiosi da voler esserlo addirittura più di Dio, senza comprendere che quello che manca nella loro visione è la Giustizia e la Verità, senza le quali ogni misericordia è finta.
Quello su cui dovrebbero riflettere è il fatto che, se la Rivelazione è integrabile, non è di origine divina e che, se l'essenza della Chiesa  non è quindi soprannaturale, loro stessi non hanno ragione di esistere; qualunque insegnamento da essi provenga non è altro che pura superbia autoreferenziale di cui gli uomini non solo non hanno bisogno, ma di cui non sanno che farsene; per questo le Chiese dove predicano questi adepti di se stessi si svuotano... Gli uomini cercano Dio.
Dall'altro lato ci sono invece i santi più santi di Dio; la moltiplicazione indefinita dei difensori dell'ortodossia, che hanno smesso di annunciare Cristo perchè troppo impegnati ad annunciare l'anticristo, che ormai vedono in chiunque non assecondi ogni loro presa di posizione. Questi novelli Sant'Atanasio de "noialtri", a differenza di quello vero, predicano lo scisma un giorno sì e l'altro pure, facendo propria quella lettura luterana che tanto dicono di aborrire e che vede nel papa e nella Chiesa romana l'abominio della desolazione... Che tristezza.
Nella foga di difendere la forma, hanno da tempo dimenticato la sostanza; pensano infatti veramente che Cristo non guidi più il suo corpo mistico, dimenticando le stesse parole di Gesù : "tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa..."
Se i modernisti non hanno più la Fede, i sedicenti tradizionalisti non hanno più la Speranza ed entrambi hanno da tempo smarrito ogni consapevolezza di cosa sia la Carità, specialmente se si considerano i toni con cui se ne dicono di tutti i colori. Il fatto è che senza Fede, senza Speranza e senza Carità non c'è Dio, nonostante le vesti episcopali, cardinalizie o le messe latine in "vetus ordo". Si illudono quelli che pensano che l'uomo possa distruggere l'opera di Dio, ma si illudono anche quelli che pensano di poter essere loro la soluzione ai problemi della Chiesa; entrambe le posizioni sono di uomini che hanno perso la Fede... La salvezza viene da Dio e passa per il cuore del singolo uomo  prima di manifestarsi come Chiesa; Dio è il presupposto della Chiesa e non un suo prodotto. Cristo è generato e non creato e la Chiesa genera i figli di Dio in Cristo nella misura in cui è piena di Grazia e non piena di se stessa.
Le due fazioni che attualmente si contendono la tunica del Cristo sono così attente alla veste che lo ricopriva da aver perso di vista il suo corpo crocifisso. Mentre loro si accapigliano, come se potessero decidere realmente qualcosa, la Chiesa, quella dei consacrati e dei fedeli che umilmente e genuinamente vivono il loro essere cristiani, ha le mani e i piedi inchiodati alla croce, espiando anche il loro peccato di superbia, pregando il Padre di perdonarli perchè non sanno quello che fanno.
Dietro alla cortina fumogena, alzata ad arte dal nemico, la sposa è immacolata; nessun dogma è negato, i sacramenti sono tutti intatti, il sacrificio della messa si celebra ogni giorno su tutta la terra, il magistero bimillenario è alla portata di tutti come mai nella storia, Cristo nasce nel cuore degli uomini più insospettabili, il cuore immacolato di Maria trionfa nella vita degli uomini che hanno occhi per vedere e si fa largo tra le rovine di una modernità decadente. Il dritto del ricamo si comincia ad intravedere, rendendosi visibile però soltanto a chi ha il coraggio di rinunciare al proprio punto di vista e a guardare con gli occhi di Dio anche ed innanzitutto se stesso.
Come accennavo, intendo soffermarmi su una polemica che è sorta nella Chiesa immediatamente dopo la riforma liturgica postconciliare e che oggi sembra vivere una notevole ripresa. Sono in molti infatti a sostenere che gli abusi liturgici sono il sintomo più indicativo della decadenza della Chiesa, nascondendo però una sostanziale incomprensione di cosa sia realmente la messa cattolica. Sciogliere questo annoso nodo  è determinante, essendo proprio la messa l'unica in grado di elevare l'uomo fino a permettergli di guardare la realtà con gli occhi di Dio.
Prima di entrare nel merito vorrei però invitare chi mi legge a ricordare la distinzione aristotelico-tomista tra "essenza" ed "accidenti". La mia essenza sono io, la mia persona, mentre il colore dei miei capelli, ormai imbiancati, è un accidente che, pur cambiando, non incide sulla mia essenza; io sono sempre io, anche se dovessi tingermi i capelli di blu.
Quello che sembra scontato e chiaro nel ragionamento appena fatto, inspiegabilmente sembra divenire confuso nella polemica attorno alla liturgia cattolica.
Molti ritengono infatti che l'origine della crisi post conciliare risieda proprio nella riforma della liturgia operata agli inizi degli anni 70 del '900; le argomentazioni che portano a supporto di tale tesi sono tra le più varie, ma sostanzialmente si possono schematizzare nei seguenti punti:

L'abbandono del latino;
L'orientamento del celebrante verso i fedeli, con la consequenziale modifica della posizione dell'altare;
L'abolizione di numerose genuflessioni rispetto al rito di San Pio V, compresa quella prevista al momento della ricezione dell'eucarestia da parte dei fedeli;
La modifica di alcune parti dell'offertorio, in cui si sostituisce l'offerta dei frutti della terra e del lavoro dell'uomo (il pane ed il vino) alla vittima innocente senza macchia del rito antico;
L'introduzione nell'animazione liturgica di musiche alternative all'organo ed al gregoriano;
La concelebrazione;
Il servizio all'altare aperto alle donne;
L'introduzione di lettori della Parola, tranne del Vangelo, laici, anche donne.

Esistono anche altre critiche che, più o meno approfonditamente, si muovono al rito attuale, ma credo che tutte siano riconducibili ad uno dei punti citati... Proviamo ad analizzarli uno per uno, tenendo conto che, molti degli abusi a cui si assiste in molte parrocchie, non dipendono affatto dal rito, ma da chi li tollera o, addirittura, li incoraggia.



L'abbandono del latino.

L'adozione di una lingua liturgica specifica è comune a molte religioni. L'Islam ha, ad esempio, l'arabo coranico, mentre l'ebraismo ha l'ebraico sinagogale, che è diverso da quello comunemente parlato in Israele. La funzione di una lingua liturgica uguale per tutti ha il vantaggio incontestato di universalizzare il rito nel tempo e nello spazio; prima della riforma, in qualunque paese del mondo io mi trovassi, avrei partecipato allo stesso rito, nella stessa lingua. Ovviamente esistevano alcune importanti eccezioni, che riguardavano la struttura del rito, come ad esempio per la Chiesa ambrosiana, o anche la lingua, come era per le Chiese greche orientali in comunione con Roma, ma per la stragrande maggioranza dei cattolici il rito era uguale, almeno da 500 anni senza significative variazioni.
Ora vi chiedo: la lingua liturgica è l'essenza del rito o un accidente? Non vi è dubbio che sia un accidente; Gesù all'ultima cena parlò in aramaico, le prime comunità giudeo cristiane celebravano in ebraico, le comunità provenienti dal paganesimo in greco, fino al latino, adottato perché lingua dell'impero romano, quindi compresa ovunque, e non per una sua specifica valenza liturgica. Dunque l'adozione delle lingue "volgari" non può essere causa di alcuna degenerazione della liturgia, specialmente se si tiene conto che il latino, a differenza del passato, non è più compreso dalla maggioranza dei fedeli.

2) orientamento del celebrante.

La prassi antica di celebrare il rito rivolti verso il tabernacolo, che per questo era al centro dell'altare, aveva una forte valenza simbolica. Il celebrante era rivolto a oriente, da dove sorge il sole, ed evidenzia il ruolo del sacerdote di intermediazione tra il popolo e Dio. Inoltre, il fatto che moltissime preghiere riservate ad esso fossero da recitare a bassa voce, accentuava la sensazione nel fedele di distanza tra il proprio ruolo è quello del sacerdote. La riforma liturgica e quindi l'orientamento del celebrante verso i fedeli, ha ridotto tale distanza. Riduzione a cui ha contribuito senza dubbio anche l'abolizione delle preghiere sussurrate, avvicinando popolo e celebrante, ma anche rendendo il rito più comprensibile ai fedeli. Ora vi faccio ancora la stessa domanda: l'orientamento del celebrante è l'essenza del rito o un accidente? È un accidente; l'essenza del rito non dipende affatto dalla posizione del celebrante e la riforma liturgica, introducendo l'attuale prassi, potrebbe essere imputata di aver modificato l'immagine del sacerdote agli occhi dei fedeli, ma non di aver modificato l'essenza del rito che rimane immutata.

3) Diminuzione delle genuflessioni.

Nel rito antico il fedele passava circa due terzi della messa in ginocchio; questo aveva il merito di rendere chiaro l'aspetto sacrale di quello che si stava vivendo e vedeva il suo momento massimo nella consacrazione eucaristica. La riforma liturgica ha ridotto i momenti di genuflessione, mantenendo solo quest'ultimo citato.
Ora rifacciamoci la domanda: il numero di genuflessioni è l'essenza del rito o un accidente? È un accidente, ma si può dire di più. Pur non volendo negare la validità di alcune critiche mosse alla diminuzione dei momenti di genuflessione, invito a riflettere su come l'attuale rito metta in evidenza il momento sacrificale molto più di prima. Stare in ginocchio in momenti diversi del rito, metteva, nella percezione dei fedeli, inevitabilmente sullo stesso piano i diversi momenti, mentre oggi c'è una netta separazione tra il momento della consacrazione ed il resto della liturgia, ponendo, nella percezione dei fedeli, l'atto della consacrazione ad un livello giustamente più elevato rispetto al resto.

4) Modifica dell'offertorio.

Nel rito antico il momento di offertorio evidenziava l'offerta a Dio Padre dell'agnello senza macchia in espiazione dei peccati degli uomini, identificando esplicitamente in esso il Cristo crocifisso. Nel momento di offertorio del nuovo rito invece si offre il pane ed il vino perché diventino il corpo ed il sangue di Cristo. Sembra effettivamente un cambio di paradigma; qualcuno si è spinto a sostenere che si è sostituita l'offerta di Abele con quella di Caino. Cerchiamo di capirci... Il momento dell'offertorio è sicuramente un accidente del rito, essendo l'unico della liturgia in cui è l'uomo a fare qualcosa; se l'essenza della liturgia è Dio, come avrò modo di spiegare più avanti, l'atto umano non può che essere accidentale... Detto questo non voglio però sostenere l'inutilità di esso, ma capirne il senso. Nel rito antico l'atto umano non era visibile; non era chiaro cioè che, in quell'agnello che si offriva come vittima sacrificale, era compreso ogni fedele che partecipava al rito. Nel nuovo rito invece, come i chicchi di grano divengono un unico pane e come gli acini d'uva divengono un unico vino, i fedeli offrono se stessi per essere l'unico Cristo e salire in Lui sulla croce... Credo realmente che la chiarezza del nuovo rito sia da valorizzare. Quello che è certo è che non può essere vista come una degenerazione dell'essenza della liturgia.

5) L'animazione liturgica.

Per quanto riguarda la musica e il canto che accompagnano i momenti liturgici, questi sono inequivocabilmente degli accidenti. Non è raro infatti partecipare a liturgie dove non vi sia alcuna animazione e l'essenza del rito non è intaccata in niente da quest'assenza. Detto questo però vale la pena di soffermarci ancora a riflettere su quest'aspetto. Le restrizioni che erano previste in tal senso prima della riforma, traevano origine dalla necessità di evitare abusi spesso più gravi di quelli che talvolta si vedono oggi. Tra il '700 e la fine dell'800 si arrivava talvolta a suonare musica operistica e sinfonica, trasformando la liturgia in un vero e proprio concerto, dove il rito diveniva solo un pretesto che consentiva l'espressione musicale. Giustamente si intervenne a proibire tali abusi e si identificò nell'organo lo strumento da usare e, insieme al canto gregoriano, l'unico ammesso. Questo da un lato ha tutelato la liturgia dagli abusi di cui dicevo, ma dall'altro ha inibito di fatto la creatività che questa aveva da sempre stimolato nei musicisti; pensiamo ad opere come la Messa in si minore di Bach o la Messa da Requiem di Mozart, il primo luterano e il secondo massone, ma entrambi profondamente ispirati dalla liturgia cristiana cattolica. La riforma liturgica ha di fatto riavviato questo filone creativo, chiaramente declinandolo secondo la cultura contemporanea. Sono certo ricominciati anche gli abusi, ma la produzione musicale e canora ispirata dalla liturgia è fiorita come mai prima e di questo non si può non tenere conto. Si assiste ultimamente anche a qualcosa di inaspettato e cioè la riscoperta, da parte di giovani animatori liturgici, di melodie e canti antichi, anche in latino, per cui può succedere di partecipare a messe dove i vari momenti della liturgia sono scanditi da musica di ogni tempo, mettendone in risalto la valenza universale ed eterna.

6) La concelebrazione.

Prima della riforma non era prevista alcuna possibilità di concelebrazione; il sacerdote che officiava, cioè, era sempre uno solo. Oggi invece può succedere che una messa sia celebrata da due o anche più sacerdoti. Questo è un accidente o è l'essenza del rito? È chiaramente un accidente. Se infatti il sacerdote è necessario per la celebrazione, tanto che in sua assenza essa non può esistere, non si vede come la presenza di più sacerdoti possa indicarne una degenerazione.

7) Donne che servono messa.

Lo dico subito: che ci sia o meno un chierichetto, indipendentemente dal suo sesso, è chiaramente un accidente. Vale però la pena, anche qui, di spendere qualche parola in più.
L'esclusione delle donne dal servizio all'altare, che era tipica del rito prima della riforma, non aveva alcun senso teologico; anzi si potrebbe dimostrare che proprio il Vangelo indichi nell'attuale prassi quella più corretta. Se si riflette infatti, si vede che la costante di tutta la vita pubblica di Gesù non sono i discepoli, che lo abbandonarono dopo il suo arresto, ma la presenza alla sua sequela delle donne, fin sotto la croce. Fu una donna ad ungerlo a Betania prima della Passione e la messa cattolica è esattamente l'evento della crocifissione; ci furono allora, non si vede come oggi possano esserne una degenerazione.

8) Lettori laici.

C'è bisogno realmente di soffermarci sul fatto che il lettore laico sia solo un accidente e non l'essenza del rito? Non credo.

Ogni aspetto della polemica sul novus ordo missae riguarda quindi aspetti puramente accidentali della liturgia, ma allora quali ne rappresentano l'essenza? È importante a questo punto capirlo.
Si può dire che l'essenza della messa cattolica sia una e trina e non potrebbe essere altrimenti. Tre infatti sono i momenti della liturgia in mancanza dei quali essa ne risulta degenerata o, addirittura, invalida sacramentalmente: l'atto penitenziale, la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. Insieme sono l'unico Gesù Cristo nel suo corpo mistico che è la Chiesa.
L'atto penitenziale è l'invito alla conversione che Gesù fa nei Vangeli in continuità e compimento di quanto fatto e annunciato dal Battista; l'ammissione ed il riconoscimento dei propri peccati è indispensabile per poter accedere ad una reale relazione con Dio.
La liturgia della Parola è la persona stessa di Gesù, la seconda persona della Santissima Trinità incarnata, annunciata nell'antico testamento e contemplata nel nuovo.
La liturgia eucaristica è la passione e morte di Gesù; il suo sacrificio offerto al Padre in espiazione dei peccati del mondo. La Chiesa, suo corpo mistico, per Cristo, con Cristo ed in Cristo si unisce a questo sacrificio ed all'offerta di se al Padre nell'unità dello Spirito Santo.
La morte con Cristo ci porta a risorgere in Lui e ad ascendere fino ad altezze vertiginose... Aveva ragione Padre Pio: visto da qui... il ricamo è bellissimo.

Gennaro Cangiano (M.I.)

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